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In balia delle correnti della vita
Per chiunque abbia avuto occasione di trascorrere un periodo della propria vita al Cairo, e non soltanto come semplice turista, questo bel romanzo fresco di stampa non può che rivelarsi sorprendentemente evocativo. Tra le sue pagine io ho ritrovato la stessa identica città conosciuta una decina d’anni fa, lo stesso caos devastante, gli identici struggenti tramonti, colori, odori, profumi di sempre…
“[…] il tappeto sonoro della città, un fruscio ininterrotto come quello dello schermo di un vecchio televisore senza canali, un tessuto che ci sovrasta, tenuto insieme dal contrappunto di migliaia di clacson, di un’infinità di auto, di camion, le sirene delle ambulanze, lo sferragliare delle betoniere, degli autobus, e poi le motociclette, i trattori, il fumo nero della nafta bruciata che soffia su dai tubi di scappamento arrugginiti e si va ad aggiungere alle tenebre sopra di noi, senza stelle, senza luna.”
La città del Cairo è così: la si odia o la si ama. O entrambe le cose, in un alternarsi, spesso contrastante, di sentimenti e stati d’animo suscitati da questa frenetica metropoli moderna dal cuore antico.
Alex, il protagonista di origine italiana di “Al Tayar”, sceglie di amarla in verità fin da subito, catturato da un fascino ambiguo a cui si è voluto aggrappare in cerca di una possibile salvezza e redenzione. Approda casualmente nella capitale egiziana per ripagare un debito contratto con un giro di gente poco raccomandabile; il suo lavoro interrotto da fotografo è rimasto forse a Londra o nell’Estremo Oriente, tra le insoddisfazioni e le delusioni di una vita sì giovane ma già pesantemente vissuta. Ad attenderlo al Cairo, in mezzo al sudicio frastuono delle sue strade, persone non certo migliori di coloro per cui deve fare una consegna illegale di farmaci, ma tra le quali lui sembra trovare all’improvviso una sua giusta dimensione, al punto da chiedere di restare sul posto a lavorare per loro. Eppure dietro la facciata pulita e l’odore pungente di disinfettante della clinica di al Maadi, Mohamed, Ahmed, Khaled e altri celano affari tra i più sporchi e turpi che possano esistere e che non tarderanno a bussare alla coscienza di Alex, il quale capirà presto che il suo nuovo lavoro non consiste soltanto nei recarsi all’aeroporto ad accogliere ricchi pazienti inglesi che hanno pagato cifre strabilianti per un trapianto che possa salvare loro la vita. Da dove, e soprattutto da chi, provengono gli organi trapiantati? È proprio tutto così semplice e filantropico come qualcuno cerca di dipingere sbrigativamente l’intera questione?
In un crescendo di suspense e colpi di scena ben dosati, la penna di Mario Vattani, diplomatico non nuovo alla narrativa, con grande maestria dà vita a un noir che intreccia lunghe giornate assolate e notti insonni ancor più interminabili, dove i concetti di bene e male si rincorrono spesso lungo confini poi non così marcati.
Una scrittura, a livello formale, perfetta, solida, per nulla incline a comode semplificazioni linguistiche oggi purtroppo in voga; a livello sostanziale, piacevolmente coinvolgente (tant’è che non si avverte nemmeno la mole delle pagine) e d’una scorrevolezza che è pari a quella del Nilo, la cui corrente, come già anticipa il titolo del libro, affascina e quasi ipnotizza il nostro protagonista.
“Per la prima volta mi trovo all’altezza del fiume, e resto incantato dalla sua massa immensa. I miei passi risuonano sulle tavole, e sento nelle narici l’odore di quella superficie buia e fluttuante, punteggiata da mille riflessi di luce. A meravigliarmi non è solo il profumo di umidità, di fango, di natura, ma soprattutto l’idea che quello stesso profumo, come un vapore invisibile che si è andato costituendo particella per particella, ha attraversato il continente africano per migliaia di chilometri.”
E proprio da questa corrente, grande metafora della vita, si lasciano trascinar via ineluttabilmente tutti i personaggi, ciascuno ben delineato, tra cui spiccano, in particolare, le figure femminili principali (Amal, Noura, Nawal) che rispecchiano alla perfezione la tipologia delle donne in un Paese arabo: da quelle che sono velate e (mica tanto) pudiche a quelle che, con buona pace di tutti i nostri cliché preconfezionati sull’argomento, vivono pressoché all’occidentale con i capelli rigorosamente al vento; a tal proposito, un meritato plauso deve essere tributato a chi ha scelto l’immagine di copertina, finalmente lontana da scontati e prevedibili volti femminili muniti d'islamico hijab, se non addirittura del più intrigante niqab che, come dimostrato nel tempo, aiuta a vendere un maggior numero di copie specie quando si tratta di presunti casi editoriali di poca sostanza.
Scritto con grande passione e dovizia di particolari, “Al Tayar” è un bellissimo romanzo che un autore digiuno del Cairo non avrebbe mai potuto mettere nero su bianco; si sente che Vattani ha vissuto la città nel profondo, l’ha fatta propria (persino linguisticamente!), forse l’ha amata come il suo Alex e, chissà, anche odiata nei giorni più grevi e insopportabili. In fondo, è lei l'altra grande protagonista, questa immenso, tentacolare agglomerato urbano dal colore del deserto e che il deserto intorno sembra voler ormai divorare, con i suoi labirinti di sopraelevate, il suo traffico disordinato e incessante, la selva di antenne satellitari sulle terrazze, ma anche i suoi angoli che paiono oasi fuggite dal caos cittadino, come la collina del Muqattam, dove sorge la Cittadella con la Moschea di Muhammad ‘Ali (uno dei luoghi più belli che io stessa abbia mai visto), o il complesso di al Azhar. Una città che incanta e rapisce l’anima quando scende la sera sul Nilo e dai minareti s’alzano all’unisono le voci dei muezzìn, ma che può anche precipitare negli inferni più oscuri come accade nel drammatico epilogo della vicenda narrata. Cinque stelle e lode!
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Quanto a un soggiorno al Cairo, penso che occorrano determinate motivazioni per decidere di andarci, soprattutto al momento attuale; io ci andai per studio e ti dico che vivere in una metropoli come quella può essere al tempo stesso un'esperienza esaltante così come piuttosto deprimente.
Beh, sì, lo spirito di adattamento non mi manca, anche se ho iniziato a viaggiare tardi, dopo i trent'anni.
Comunque, visto ciò che mi dici, questo romanzo non ti farebbe saltare sul primo aereo per l'Egitto!!! :DDD
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