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Il ritorno di Sara
Torna in libreria Maurizio De Giovanni con il secondo capitolo dedicato a Sara Morozzi, detta Mora, e alle sue intuizioni e capacità tanto investigative quanto di leggere il linguaggio del corpo e le verità più nascoste negli occhi delle persone. Detto episodio vede nuovamente incontrare la Mora e la Bionda, donne cresciute insieme che sono state colleghe, amiche e avversarie leali nei Servizi. Sono due figure molto diverse, la prima ha rinunciato a tutto per seguire il cuore, la seconda ha al contrario rinunciato all’amore pur di avere tutto. Tuttavia, la femme fatale da “una botta e via” e dai sentimenti impenetrabili che non è altro che la Pandolfi, ha commesso un errore: ha permesso a Sergio Minucci, un ricercatore di ventotto anni che l’unità stava testando per verificarne una eventuale attitudine all’inserimento, di penetrare le sue difese tanto da farla innamorare. E ora, da circa 48 ore è scomparso. Un fattore temporale che è troppo poco per ipotizzare il peggio ma anche troppo poco per maturare una simile determinazione e ancora troppo poco per giustificare quello che è il passaggio successivo, ovvero, il rivolgersi dell’agente a lei, Sara. Tanti tasselli da scoprire, tanti tasselli da far rientrare al loro posto, tanti tasselli su cui far luce, tanti tasselli su cui ella dovrà lavorare affiancata da Davide Pardo, agente che abbiamo già conosciuto in “Sara al tramonto”.
In “Le parole di Sara” non restiamo particolarmente colpiti dal caso su cui l’eroina è chiamata ad investigare quanto dalla parte riflessiva dettata dal silenzio, dalla volontà di rinascere e dal contrasto tra queste due personalità opposte ma, per ragioni diverse, solidissime. Sara che disturba per quella sua lucida freddezza con brevi e minimi sprazzi di umanità, calore e empatia mixati ad una morale salda e forte, si contrappone perfettamente a Teresa che, al contrario, ha lottato e fatto di tutto per la carriera tanto da privarsi completamente di quella sfera affettiva di cui adesso è preda. Il risultato? Il risultato è quello di un quadro veritiero e concreto della varietà e sfaccettatura umana.
Una piacevole lettura, non particolarmente impegnativa, che convince e conquista ma che al contempo non resta indimenticabile nella mente del lettore. Ammetto di aver faticato nella prima parte ad entrare nello scritto, di aver ritrovato il De Giovanni a cui siamo abituati in modo troppo marcato come se si fosse conformato a quel trend, a quella impostazione senza più aver trovato lo stimolo a distaccarsene. Siffatto elemento mi ha fatto da un lato apprezzare il componimento, dall’altro non mi ha permesso di ravvisare tratti di particolare originalità che potessero catalogarlo tra “gli indimenticabili”. Un peccato perché dal punto di vista dei contenuti molto apprendiamo sui vari personaggi e molti pezzi del puzzle riusciamo a far combaciare con i misteri, come sopradetto, lasciati irrisolti in precedenza.
A concludere il volume troviamo “Sara che aspetta”, il breve racconto già contenuto in “Sbirre” opera a firma Massimo De Cataldo, Massimo Carlotto e Maurizio De Giovanni.