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Cold chase per il maresciallo Binda
Una nuova indagine del maresciallo Binda, tra passato e presente, ne Il fantasma del ponte di ferro di Piero Colaprico. Il maresciallo, ormai, è in pensione, ma non rinuncia alla sua unica passione: l’investigazione. Così apre un piccolo studio all’interno della sua stessa dimora, dopo la morte di Rachele, la sua prima moglie, e l’inizio della sua storia d’amore con Alba:
“Aveva piazzato la scrivania, una sedia da regista, e, più per scena che per altro uno schedario. Non aveva appeso neppure un quadro. Nessuna fotografia. Solo pareti dipinte con una bella mano di bianco. Scarpe, taccuino e penna, qualche piccolo registratore e ovviamente la pistola automatica.”
Un giorno una bellissima ragazza russa, Olga, si presenta al suo cospetto e gli offre un nuovo indizio su di un vecchio caso di cui si era occupato nel lontano 1972, denominato, appunto, il caso “del fantasma del ponte di ferro”, ovvero era:
“il corpo di un uomo vestito da donna, in abito da sera color pervinca. Ai piedi scarpe eleganti, una delle quali, chissà perché, bagnata. Appeso sotto il ponte della Richard Ginori da una o più persone capaci di eseguire alla perfezione il nodo d’anguilla e la gassa d’amante doppia, usati dai marinai e dagli alpinisti. “
Il caso aveva destato stupore, anche a causa del biglietto trovato in bocca al cadavere scritto in cirillico, infatti:
“Il corpo senza testa penzolava dalla parte inferiore del ponte di ferro verde, quella destinata al traffico ferroviario. In quella nebbia, emanava un orrore contagioso e irresistibile. Anche se non c’era un alito di vento, oscillava con movimenti circolari, come quelli del pendolo di Foucault. “
Contemporaneamente scompare una violinista russa, mai più trovata, ed indissolubilmente legata all’omicidio senza testa. Di qui al maresciallo si apre uno scenario torbido, in cui:
“si ritrovava dentro le luci e le ombre degli Stati, incarnati dai loro apparati di sicurezza e dalle loro trame.”
Un classico noir metropolitano, dove alla suspence e all’intrigo della trama, la seconda padrona assoluta della narrazione è Milano, la Milano di Ada Merini e Dino Buzzati. Buzzati:
“quell’uomo così complicato, delicato, intelligente, colto , appassionato, ossessionato”,
e Ada Merini che piange l’amico scomparso a soli 66 anni:
“la poetessa indicava il cielo e ripeteva un nome: Dino. Ora lo sussurrava, ora lo strillava, e quelle due sillabe gridate nel silenzio sembravano trasportate nel cuore della città dalla lenta corrente del Naviglio.”.
Un giallo classico , dalle tinte torbide, ma intriganti, dominati d quella che in milanese è la sluscia, ovvero:
“una pioggia fine che gli tenne compagnia battendo sui vetri.”.
L’investigatore è un uomo malinconico, ironico, buon conoscitore della città in cui vive, e buon conoscitore dei metodi di investigazione. Lui è acuto e preciso, e molto umano, con un pudore di altri tempi. Un libro che risponde benissimo ai canoni classici del genere di cui appartiene, ma non per questo meno fascinoso ed attraente. Una ottima lettura con una prosa sempre stilisticamente corretta e precisa.