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Pennacchi e l'arte di raccontare
"Il delitto di Agora. Una nuvola rossa" è un giallo bellissimo; non conoscevo l'autore che è molto abile nella difficile arte di raccontare fatti esterni al delitto - dalla storia di Agora e dei paesi vicini, frutto di una ricerca attenta mirata a spiegare il carattere dei personaggi che vi abitano. E veramente difficile distogliere l'attenzione di un lettore di gialli dai fatti strettamente connessi al delitto senza annoiarlo – io non ci sono mai riuscita. La voce narrante è l'autore stesso che nel testo è seguito da uno psicanalista con cui analizza le pulsioni umane. Molto bello anche il suo raccontare i fatti spiegando come il destino dell'uno sia condizionato dal passato degli altri.
Un giallo intenso che si compone come un puzzle raccontando separatamente i fatti per riunirli alla fine, evidenziando contraddizioni e false testimonianze, idee distorte, sentimenti, paure. È un flash sul modo di agire della polizia nel confrontarsi con i delitti; il finale smentisce la razionalità del testo.
Pennacchi è un genio. Pensare che ero dubbiosa quando l’ho comprato perché di solito il destino sta nel nome.
Dal testo:
“Il pubblico ministero aveva sposato in pieno la tesi dei carabinieri. È un giudice giovane, d’assalto. Ha fatto la gavetta in Calabria contro la ‘ndrangheta. È uno di quei giovani pretori che c’erano andati volontari laggiù, quando tutti gli altri si mettevano in mutua e scappavano perché i picciotti calabresi – tra sequestri, racket delle estorsioni e narcotraffico – erano diventati padroni del territorio e avevano preso la deprecabile abitudine di far saltare in aria giudici e poliziotti. Il nostro c’era andato volontario, e dopo tre o quattro anni di quella trincea – in cui tutti sostengono che s’è comportato da eroe e che gli varrà come pedigree per una sicura e prorompente carriera – lo hanno rimandato qua. È gracile. Pare un niente. Ma lo regge la tigna: è peggio di un cisternese. Abita ancora alle case Gescal sulla via del Mare, a Latina, insieme alla madre che, da quando è cominciata questa storia sembra Alba Parietti. La televisione ha intervistato anche lei: “Ecco la madre del giudice antimafia che ha scovato il mostro”, ha detto Emilio Fede. E tutti la riveriscono al mercato, l’aspettano nell’androne, le chiedono pareri sul delitto”. (pagina 132).
“Un altro esempio: quei due – Tacito e Svetonio, non Beppe Grillo ed Emilio Fede – asseriscono che Nerone abbia fatto uccidere sua madre Agrippina, che era comunque una gran rompiballe. Ci aveva provato altre volte, dicono loro, finché fece preparare un battello che si sfasciasse a comando in modo da farla morire per il naufragio o la caduta del ponte.
E io, per ammazzare qualcuno, faccio affondare una nave intera, senza manco organizzare dei sicari che si accertino del buon esito ma, anzi, tutto l’equipaggio si dà da dare per salvarlo, quel tanghero? Ma nemmeno i nostri servizi segreti sarebbero capaci di tanto”. (pagina 55).