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Mozart e il Puledro dorato
Nel lontano 1706 una fanciulla, reclusa in convento perché accreditata di miracolosi e pericolosi vaticini, detta una profezia scandalosa all'oscuro barone von Tintenfisch: nascerà un Puledro dorato che segnerà la fine per i potenti della Terra e la contemporanea liberazione dell’Umanità dal giogo che la opprime. Nei secoli successivi, a causa di detta profezia, divulgata dallo stesso barone per terrorizzare e controllare le classi dirigenti dell’epoca, si combatterà una spietata guerra occulta tra i seguaci di due ideologie che si identificano in due entità demoniache: Mammona, che ricerca solo il potere ed il denaro, e Lucifero, che vuole portare luce e liberazione.
Ai giorni nostri il famoso violinista Flavio Tondi subisce un increscioso incidente: durante un concerto all'Opera Garnier di Parigi, il suo prestigioso strumento rimane incastrato nelle porte automatiche del teatro e viene sbriciolato. Al suo interno sono scoperti strani numeri incisi nella cassa; forse sono un codice segreto che cela la notazione musicale di un minuetto inedito composto da un giovanissimo Mozart? Che questo brano sia intimamente legato alla profezia del XVIII secolo? Sono in molti a pensarlo tanto da dar luogo ad una caccia feroce per entrare in possesso dei frammenti dello strumento musicale che (essi presumono) potrebbero cambiare i destini dell’Umanità.
Il racconto, mischia a fatti e personaggi storici (Madame de Pompadour, Luigi XV, Mozart) sfrontate fantasie letterarie e ci racconta, in una continua alternanza di salti temporali tra passato e futuro, questa immaginifica lotta tra Bene e Male (o tra due diverse versioni di Male?).
Di base si tratta di un’idea non certo nuova, anzi particolarmente abusata, basti pensare al “Pendolo” di Eco e al “Codice” di Brown. Per tacere del fatto che qui, tra i personaggi storici protagonisti delle vicende narrate, troviamo pure i nomi di Raimondo di Sangro, principe di San Severo, e del Conte di Saint Germain: archetipi di tutto l’occultismo settecentesco. In questo caso l’unico aspetto originale sta nell’ambientazione entro il mondo della musica e l’assioma che una musica, ispirata dagli angeli ad un Mozart bambino gravemente ammalato, possa essere la chiave di liberazione per l’umanità. È divertente pensare personaggi quali il grande Salisburghese o i suoi contemporanei Jean-Marie Leclair (eccelso violinista e danzatore) e Venanzio Rauzzini (uno dei più stimati musici castrati del XVIII secolo) siano stati coinvolti in un complotto di scala mondiale che vedeva contrapposti poteri occulti capeggiati dai rappresentanti terreni di due potenze diaboliche. Per il resto, però, la costruzione appare piuttosto velleitaria e fumosa.
A peggiorare le cose la narrazione non offre un buon servizio all'idea. La trama ha un andamento erratico ed ondivago. E' troppo spezzettata tra passato e futuro per riuscire a catturare l’attenzione del lettore al quale, per altro, non viene offerto quasi nessun indizio che gli consenta di sbizzarrirsi con la fantasia ed immaginare i contenuti dei terribili segreti per i quali si battono i protagonisti.
Le continue interruzioni non giovano alla suspense né creano aspettative degne di nota. L’assunto di base, poi, (una musica liberatoria per l'Umanità) appare piuttosto sconclusionato e pretende un po’ troppo alla sospensione della naturale incredulità del lettore. Alla fine si resta con la spiacevole sensazione che si stia ragionando sul nulla. Forse chi possiede una profonda cultura musicale può trovare pure degli spunti di riflessione di un qualche interesse nelle varie citazioni, ma per il lettore medio tutto appare abbastanza confuso. Anche la figura più umana di tutto il romanzo, quel Venanzio Rauzzini, diviso tra lo strazio per la crudele mutilazione inflittagli e la consapevolezza del potere e dell’ascendente che in tal modo gli è stato donato, poteva essere meglio sfruttata, proprio per l’intrinseca partecipazione ai suoi drammi che egli riesce a suscitare.
In definitiva si tratta di un romanzo frammentario e sgranato, con una trama ingarbugliata e nebulosa che sembra vagare a caso alla ricerca di un coup de theatre che non arriva mai.
Un annotazione finale per l’angolo del pignolo. Per quanto lo stile narrativo sia in generale buono e, in alcuni casi, pure ricercato ho trovato particolarmente fastidioso l’insistito uso del verbo agire utilizzato in forma transitiva (per di più al passivo: “io sono agito”); detto vezzo, se è tollerabile (a fatica) in un testo scientifico di psicanalisi, in un’opera di narrativa diviene un vezzo lezioso che alla lunga stanca.