Dettagli Recensione
La ruga del perplesso
La scrittura puntuale, precisa e stilisticamente corretta salva questo romanzo talvolta ironico, ma annacquato all’inverosimile, con personaggi e storie tra loro scollegate e poco interessanti.
Alla fine dell’Ottocento in bilico tra Bellano e Torino, da una parte si trova la nascita della moderna psichiatria, con i suoi successi e i suoi inciampi, a fare da sfondo a una storia noir e dall’altra il rettorato del santuario di Lezzeno è l’habitat di screzi tra poveri di tasca e di spirito.
Avere la pretesa di cercare un legame tra le vicende narrate potrebbe risultare ostico, si possono tuttavia considerare sostanziali contatti tra i mondi: due muliebri trait d’union e il loro rapporto.
La Birce, giovane contadina di “sedici anni e il destino stampato in faccia: una voglia blu sulla guancia sinistra che sembrava il lago di Como. Solo che ogni tanto diventava rossa” e la sua benefattrice Giuditta Carvasana, “intenzionata a fare del bene”. Grazie, si fa per dire, a questi personaggi, la scienza e la ricerca di Cesare Lombroso, i suoi denigratori e i suoi accoliti si accostano alle miserie e alle invidie quotidiane dei poveracci del tempo. L’acerbo studio delle malattie mentali si mischia alle pettegole e ai furti da pollaio senza riuscire a convincere.
Non di meglio è la trama noir dove i delitti esaltati dal messaggio matematico che fuoriesce “dalle tasche delle sventurate” cedono di fronte a una vaga indagine e a un’inesistente ricerca dell’assassino, alimentando numerosi dubbi sul perché quella che sembra un’equazione differenziale del modello preda-predatore di Lotka-Volterra, sia stata scomodata con così poco profitto.
Da leggere in mancanza di altro!
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