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Il cineromanzo
Questo romanzo di Donato Carrisi, dal quale egli stesso ha ricavato un film con un cast notevole, ha finora ottenuto valutazioni e giudizi molto buoni su questo sito. Li condivido solo in parte.
Si tratta di un poliziesco in cui c’entra poco la nebbia (se non in senso metaforico) e abbastanza poco anche la ragazza, anche se il carico emotivo della storia si gioca tutto sulla scomparsa di una sedicenne tutta casa, scuola e parrocchia in un paesino di montagna la cui vocazione turistica è stata bruscamente interrotta dall’arrivo di una multinazionale dell’industria mineraria, con tutte le immaginabili conseguenze ambientali, economiche e sociali del caso.
L’essenzialità della trama nasconde in realtà doppie o triple verità, in un gioco di apparenze, specchi e manipolazioni che si fondano sull’uso mediatico dei casi giudiziari, un’arena spietata nella quale tutti combattono contro tutti per conquistare il consenso del pubblico assetato di sangue e salvarsi la pelle sopprimendo l’antagonista più esposto.
Avevo visto il film l’anno scorso e ne ho rivisto una parte (il finale) in un recente passaggio in TV. Poi, abbastanza casualmente, mi sono ritrovato in un pomeriggio a leggere anche il romanzo. Personalmente trovo che il binomio romanzo + film funzioni bene. Il romanzo da solo è piuttosto freddo e artificioso, ma anche chiaro, veloce e scorrevole che di più non si può. Il film guadagna parecchio in atmosfera ma è un po’ confuso e lascia con una sensazione di smarrimento (se non si ha letto il libro). Insieme si sorreggono e compensano egregiamente i reciproci difetti. Nessuno dei due però riesce ad evitare lo sciagurato svolazzo finale (le ultime tre pagine del romanzo, l’ultima scena del film) che produce l’effetto di uno stucco rococò piantato in mezzo ad un arredamento high tech.
Parliamo del romanzo. I personaggi principali sono stilizzati con pochi tratti e avrebbero potuto acquistare ben altro spessore se solo la penna, senza perdere in velocità, avesse saputo incidere un po’ di più (Simenon, abbi compassione e illumina i tuoi poveri discepoli). I personaggi di seconda fila sono prevalentemente dei cliché abbastanza grossolani: la mamma bigottissima, la giornalista iena, il vicino di casa arricchito, la teen-ager scentrata, siamo più vicini al fumetto che al romanzo. Lo stile non è affatto brutto e la tensione narrativa non viene mai meno. Ciò che si offre è intrattenimento “intelligente”, ovvero un giallo che ci parla di aspetti inquietanti della nostra contemporaneità. In questo l’obiettivo è pienamente raggiunto. Con l’aggiunta del film, anche meglio. Lo scrittore-regista è molto bravo.
Toni Servillo è geniale nel dare un’anima all’incompiuto ispettore Vogel. Il talento di Alessio Boni è indispensabile per circondare di un alone di ambiguità un professor Martini altrimenti poco credibile e totalmente asservito alle esigenze della trama. Infine l’esperienza e il carisma di Jean Reno ci fanno dimenticare quanto sia fondamentalmente posticcio il personaggio dello psichiatra.
Potrebbe essere l’inizio di un nuovo prodotto, il pacchetto film più romanzo, paghi uno e prendi due. Idea molto interessante, ne possono nascere cose.
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Un caro saluto
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Questo autore non ha mai suscitato il mio interesse. So del suo successo commerciale, ma questo riguarda la sociologia , non la letteratura.