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Un morto di periferia
Margherita Oggero, Premio Bancarella 2016, torna al suo genere preferito, il giallo, con La vita è un cicles. Ambientato a Torino, il libro ha il fascino e l’intrigo del giallo, la levità e la leggerezza delle tenere storie d’amore. Di Torino colpisce il ritratto in cui si parla dell’incuria che domina la periferia, per cui:
“una parte del quartiere, quella nuova e costruita in fretta dopo l’altra, è desolante, come tutte le aree periferiche dove imperversa l’incuria e il tessuto sociale è disgregato. Dove giocando con una bomba carta ai giardini si semidistrugge un caseggiato; dove nessuno vede, nessuno sa niente, nessuno conosce nessuno; dove i cassonetti incendiati le panchine sradicate le vetrine in frantumi sono i fiori che sbocciano ogni notte.”.
In tale contesto, dove pare dominare una “certa mafia veneta”, all’interno di un bar scalcinato e di scarsa bellezza, l’Acapulco’s. viene trovato un morto, orribilmente sfigurato. Chi lo trova è Massimo, giovane laureato in Lettere, che si arrangia con il misero salario che gli è dato dal padrone del bar, tale Bettino Trevisan, losco figuro, tanto quanto il figlio, un po’ demente, Gervaso detto Gerry. Di chi è il cadavere, e soprattutto chi è stato ad ucciderlo? Domande che si pone il povero commissario Gianmarco Martinetto, burbero e scostante, che preferisce essere ovunque piuttosto che lì. Lui:
“soffre di una specie di insonnia. A qualunque ora vada a letto, alle cinque gli squilla una sveglia interiore che non c’è verso di zittire e lo costringe ad alzarsi, perlopiù sacramentando. Verso le due del pomeriggio, invece, è invaso da un torpore pesante che può smaltire soltanto quando è di riposo, con una pennichella ristoratrice, mentre negli altri giorni ingurgita caffè, maledice i ritmi circadiani e strapazza chi gli capita a tiro.”.
Le indagini stentano, perché:
“il morto era privo di documenti, cellulare, chiavi e qualsiasi elemento (scontrino, biglietto, tessera) utile all’identificazione. E data la condizione della faccia devastata dall’uscita del proiettile, tutto quello che si sapeva della vittima era l’età presunta.(…) Neanche un pugno di mosche in mano, il peggio del peggio.”.
La situazione è angosciante,
“si prevedono lungaggini, piste inconsistenti, un sacco di lavoro e un esito incerto.”.
Mai perdersi d’animo, però, perché:
“la vita è un cicles”,
ovvero:
“un cicles, cioè una gomma da masticare, cioè chewing-gum?”.
Una lucida fotografia del mondo attuale, dove
“è il futuro a non sembrarmi confortante. Se non ci andrà troppo male diventeremo un Paese di baristi cuochi camerieri albergatori suonatori di mandolino e guide turistiche; le menti migliori in esilio volontario o no. Se ci andrà male meglio non pensarci.”.
Una descrizione precisa ed accurata della periferia torinese, ove:
“uno scenario da futuro distopico diventato presente. Un concentrato di livore cieco contro tutto e tutti, di pregiudizi arroganti, di ignoranza abissale e contagiosa neppure scalfita dai troppi pochi anni di scuola. “.
E su tutta la narrazione prevale l’investigazione formata da tantissime ed intriganti piste che si mescolano e si sovrappongono. Una bella storia, narrata con perizia e metodo, e un alto acume intellettivo ed investigativo. L’autrice mescola bene gli ingredienti del narrato, passando con destrezza ad analizzare la situazione lavorativa dei giovani di oggi, alle infiltrazioni delle cosche mafiose al nord, alle storie d’amori giovanili e ai loro sviluppi. Un ottimo narrato, intenso e profondo.