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Il gelo che blocca le anime
Due casi scabrosi per i Bastardi di Pizzofalcone: in una Napoli squassata da un’ondata di freddo siberiano, l’ispettore Giuseppe Lojacono e l’agente Alex Di Nardo sono incaricati dal Commissario Palma di indagare sulla brutale uccisione di due giovani fratelli.
Biagio e la bellissima Grazia Varricchio sono stati trovati nel loro appartamentino uccisi con irosa violenza. Principale indiziato del delitto sembrerebbe essere il padre dei due, appena uscito di prigione dopo aver scontato una condanna a sedici anni di reclusione per omicidio. L’uomo avrebbe voluto riportare la figlia a casa, in Calabria, ma lei non voleva. Anche il fidanzato della ragazza, musicista di poco successo, non è esente da sospetti: potrebbe averla uccisa in uno scatto di gelosia, perché non voleva che lei continuasse la carriera di modella, considerandola indecente. O magari è stato proprio il dirigente dell’agenzia che aveva trovato in Grazia l’eleganza perfetta che cercava da tempo e non si rassegnava al fatto che la ragazza avesse deciso che di non proseguire in quella carriera. Qual è la pista giusta delle tre, oppure ce n’è, forse, una quarta ancora inesplorata?
Romano e Aragona, invece, debbono investigare sulle presunte molestie sessuali da parte di un padre ai danni della figlia dodicenne apparentemente timida e indifesa. I temi della ragazzina, in cui essa evidenzia il disagio, denunciano una situazione reale o sono solo fantasie?
Nel frattempo le vite private dei poliziotti subiscono graduali evoluzioni sentimentali (Lojacono con la PM Piras, Di Nardo con la dirigente della Scientifica), mentre Palma dovrà lottare per conservare le indagini al Commissariato che è sempre a rischio chiusura.
Le sorprese, spesso amare, non mancheranno, per tutti.
Questo quarto romanzo della serie dei “Bastardi” tocca il punto più basso di piacevolezza sinora raggiunto dall'ottimo De Giovanni. Onestamente non mi sarei mai aspettato di dover attribuire un punteggio così basso ad un romanzo dell’autore napoletano, ma “Gelo” si è rivelato una mezza delusione. E provo un estremo rammarico a dirlo.
Lo stile dell’A. è sempre ottimo, filante e ricercato, ma in questo caso non riesce a venire in soccorso alla storia, abbastanza prevedibile, che echeggia vicende simili e che viene diluita in troppe pagine per il reale contenuto della stessa.
Ho avuto quasi la sensazione che questo libro sia stato scritto in modo forzoso, "con la mano sinistra", per far fronte ad un impegno editoriale preso, ma senza provare vera passione narrativa.
Tutti i romanzi di De Giovanni seguono un ben preciso schema che i fan dell’A. ben conoscono e apprezzano. Ma in questo caso l’incrociarsi delle storie, le parentesi sentimentali dei protagonisti, i capitoli di intermezzo dedicati alle riflessioni, all'analisi di una situazione, di una emozione, mostrano tutti una certa artificiosità. In pratica, invece di fluire naturalmente, il racconto rivela il meccanismo, l'ingranaggio sotteso che lo muove e appare tutto innaturalmente calcolato, non sentito col cuore.
Inoltre la necessità di spiegare le vicende personali dei protagonisti, anche ad eventuali neofiti della serie, ha costretto l’A. a tediosi riassunti delle “puntate precedenti” che interferiscono con la narrazione ed infarciscono quasi ogni capitolo di fatti ai più ben noti. Se si tien conto, poi, che detti capitoli sono spesso assai brevi, non è raro scoprire che gran parte di essi siano stati sprecati per questo continuo ripasso, un po’ come avveniva nei vecchi sussidiari scolastici.
Invece di sviluppare le personalità dei protagonisti, di addentrarsi nelle loro vite o di cesellare le situazioni, si viene sottoposti ad una continua rilettura del loro background, senza riuscire a procedere nella nuova storia. Queste spiegazioni non richieste, poi, sono solo approssimativamente imbastite alla vicenda principale, così da creare un certo fastidio quando le si incontra e non è raro che si ceda alla tentazione di saltare a piè pari interi paragrafi.
Insomma, il romanzo rappresenta una battuta d’arresto nell'ottima produzione di De Giovanni. Conoscendo tutta la serie del Commissario Ricciardi, mi viene da pensare che questo libro sia stato scritto in un momento di stanchezza. A meno che i “Bastardi” non siano una fonte di ispirazione meno fertile di quanto non lo sia il Commissario “che vedeva i morti”, ed essa si stia già esaurendo. Mi auguro, sinceramente, che non sia così.
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