Dettagli Recensione
"Faites vos jeux, s'il vous plait"
Dopo “L’anello mancante. Cinque indagini romane per Rocco Schiavone”, Antonio Manzini fa ritorno in libreria con “Fate il vostro gioco”, giallo che ci propone una nuova avventura del personaggio più famoso nato dalla sua penna e immaginazione; Rocco Schiavone.
Due coltellate, una all’altezza della giugulare e l’altra al fegato, hanno determinato la morte di Romano Favre, sessantenne pensionato ragioniere legato al casinò di Saint-Vincent per la sua attività di “ispettore di gioco”. Il ritrovamento ha avuto luogo per mano dei vicini di casa e più precisamente da parte di due vecchiette e da Arturo Michelini, croupier presso il casinò Saint-Vincent che, insospettiti dall’assenza di risposta da parte del contabile perfino di fronte alla fuga della sua amata gatta siamese chiamata Pallina, decidono di andare a verificarne lo stato di salute. Sangue, tanto sangue. Non vi sono dubbi sulle cause del decesso. Sul luogo intervengono Schiavone e la sua squadra che già dai primi rilievi si rendono conto che qualcosa nella ricostruzione dei fatti non torna. Basti pensare, in merito, a quel bic bianco rinvenuto sul comodino del defunto o ancora a quella fiche del casinò di Sanremo (perché di questo casinò e non del più vicino Saint-Vincent?) racchiusa nella sua mano. O ancora, basti pensare, a quella porta finestra lasciata misteriosamente aperta e a quella toppa della porta con al suo interno inserite le chiavi di casa. Tanti tasselli, questi, che non solo fanno capire a Schiavone di trovarsi di fronte ad “un morto che parla” ma che al contempo aprono la prospettiva su uno scenario ben più ampio, fatto di riciclaggio, di criminalità, di sotterfugi, di gioco d’azzardo, di ludopatia, di strozzinaggio, di usura e molto altro ancora. E seppur il vicequestore riesca ad arrivare alla conclusione e alla risoluzione del caso, le trame e le prospettive sono talmente intricate e ben articolate tra loro da rendere inevitabile il proseguo delle vicende proposte in un nuovo e separato capitolo. Da qui, il finale aperto sull’indagine e il sipario che definitivamente – e dolorosamente – scende su quel maledetto “7-7-2007”.
Quello che ci troviamo di fronte in questo nuovo capitolo delle avventure del romano esiliato vicequestore, è un testo con tutte le caratteristiche del giallo, è un testo con un ottimo intreccio narrativo, è un testo con un mistero che regge su tutta la linea e che è caratterizzato da un rapporto causa-effetto ben cadenzato e ritmato, ma è anche un testo in cui riscopriamo la figura di questo eclettico funzionario di polizia. Paradossalmente, infatti, si percepisce dalla sua voce la stanchezza di una vita fatta di dissoluzione e dolore, si percepisce la stanchezza di un lavoro usurante in prossimità dei cinquant’anni, si percepisce la nostalgia per quei tempi ormai andati che mai potranno fare ritorno. Il suo è un tono malinconico, molto più vicino ai romanzi noir che ai gialli veri e propri, se vogliamo. E forse questo è dovuto al fatto che Rocco, così come il suo vicino Italo Pierron, ancora non hanno superato il tradimento di Caterina, occorso in quel di “Pulvis et Umbra”. Tratti immancabili e che non mutano attengono invece all’indole rozza, schietta, smaliziata, cinica e ironica a cui siamo abituati sin dai primi episodi.
Un giallo che tiene bene nonostante questo non fosse semplice visto il grande successo e la meravigliosa riuscita proprio di “Pulvis et Umbra”, che ad oggi, insieme a “7-07-2007”, è sicuramente il capitolo meglio riuscito dell’intera saga. Non ci resta altro che aspettare il prossimo volume delle avventure di questo versatile personaggio.
«Pensavo che siamo come i serpenti. Ci lasciamo dietro la vecchia pelle perché abbiamo bisogno di quella nuova. Ma la vecchia pelle c’è stata. È un fatto, senza la vecchia pelle quella nuova non c’è» p. 378
«Che tu puoi essere qui e altrove, sei sempre tu e io sono sempre io. Tempo, spazio, non importa, Rocco. Quello che conta è che siamo qui. La differenza? A me certe cose non interessano più, a te sì. Ma il motiov lo conosci.» p. 380
«Lei sa come far credere che qualcosa sia vera? È semplice. Si dicono un sacco di verità comprovate e in mezzo, come un’insalata, si butta una cazzata che la gente prenderà per buona.» p. 388