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A me sembrano un po’ matti
L’isola è l’imprecisato luogo lacustre che ospita la famiglia Reffi, la servitù (“Durante i primi anni i Reffi avevano abitato da soli la villa al Ginestrin. Poi avevano preso con loro un cugino e sua moglie, jole e Vittorio Vras... Jole sovrintendeva le due domestiche, Beatrice e Marì”), il custode Giovanni Marengadi e un cane (“battezzato Pangloss da Celestino solo con l’intento di prendere in giro Voltaire e l’Illuminismo”).
Gli idealisti sono il padre Antonio, medico in pensione, ma soprattutto i due figli non coniugati: la scrittrice Carla e l’intellettuale Celestino.
La ristretta comunità vive in equilibrio sino all’arrivo di due ladri (“Se volete potete telefonare ai carabinieri. O tenermi qui fino a domani sera, senza dire niente a nessuno. Come preferite”), che provocano i principi, i sentimenti, la magnanimità e la creatività degli “idealisti” (“Pensa a quanta gente peggiore di loro viene redenta”).
È lo scontro di due mentalità (“A me sembrano un po’ matti”), temperamenti (“È un po’ mulo”), stili di vita ed emotività che vengono abilmente sovrastate e governate da Scerbanenco: il futuro scrittore di noir si erge ad attento osservatore di dinamiche che assumono la casa chiusa come ambiente e schema nel quale scatenare psicologie e caratteri.
L’atmosfera suggestiva del lago aleggia, misteriosa e avvolgente, esaltata da uno stile narrativo moderato e preciso nel descrivere e nell’analizzare.
Giudizio finale: interessante, affascinante, filantropico.
Bruno Elpis
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