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Dodo e i Bastardi
Per la scolaresca di quinta elementare dell’istituto scolastico privato S. Maria della Carità doveva essere una normale gita al museo, come se ne facevano ogni anno. Tuttavia poco dopo l’ingresso nelle sale di Villa Rosenberg il piccolo Edoardo Cerchia, noto a tutti come Dodo, s’è allontanato improvvisamente dal gruppo dei compagni per uscire assieme ad una misteriosa donna dai capelli biondi. Da quel momento è letteralmente scomparso nel nulla. Il ragazzino, timido e introverso, difficilmente avrebbe dato confidenza ad un estraneo, men che meno l’avrebbe seguito. Quindi chi è l’ignota rapitrice? Perché, che si tratti di un rapimento a scopo di estorsione, non ci sono dubbi. Il papà (Alberto Cerchia), separato dalla moglie, è un noto industriale del Nord. Ma soprattutto il nonno di Dodo, Edoardo Borrelli, è ricchissimo: palazzinaro negli anni ’70 s’è poi riciclato nella finanza accumulando milioni e, soprattutto, potere. Incaricati dell’indagine sono l’irascibile Assistente capo Francesco Romano e l’estroso agente Marco Aragona, mentre l’ispettore Lojacono è impegnato con la Di Nardo su un caso davvero anomalo di furto in appartamento.
Dopo ventiquattr'ore, puntualmente, arriva la richiesta di riscatto (cinque milioni), poi, però, mentre le indagini proseguono faticosamente, le cose iniziano a complicarsi. Riusciranno i Bastardi di Pizzofalcone a catturare i colpevoli dello spregevole crimine. Ma, soprattutto, riusciranno a liberare Dodo vivo?
Il terzo episodio della saga dell’ispettore Lojacono e dei suoi “Bastardi”, conferma le impressioni ricevute nei precedenti due romanzi. De Giovanni ha sempre una prosa fluida ed elegante ed è un piacere leggerlo. Tuttavia, come per le precedenti prove, anche qui si nota come la narrazione soffra un poco dell’ambientazione contemporanea. I capitoli sono brevi e nervosi e - nonostante l’A. cerchi di conservare il suo stile, concedendosi il tempo per pennellate d’ambiente e per riflessioni sui sentimenti e sui comportamenti umani - si percepisce una certa fretta che non indulge a soffermarsi sui particolari descrittivi, ma stimola a proseguire rapidi la lettura, talvolta incoraggiati addirittura a saltare alcune frasi (che disdetta!!!) per seguire il corso della narrazione principale.
Quest’ultima, in compenso ha ricevuto un’attenzione particolare: per tutto il romanzo è serrata ed incalzante e conserva, anzi, aumenta il pathos nel lettore, di pagina in pagina, sino all'epilogo, che ovviamente non svelo, ma che è indubbiamente notevole; non tanto perché sia imprevedibile, ma, piuttosto perché è doloroso come una sferzata che mostra come i veri bastardi non siano i poliziotti del Commissariato di Pizzofalcone e, soprattutto, perché è magistralmente descritto.
In definitiva si tratta di un ottimo poliziesco che, pur non raggiungendo le vette che spesso si sono toccate con la serie del Commissario Ricciardi, non solo diverte, ma coinvolge e fa riflettere.
Una menzione particolare mi sento di fare per quelli che io definisco i “micro-racconti interpolati”. De Giovanni è solito inserire nel flusso principale della storia degli intermezzi per commentare uno stato d’animo, una sensazione, una condizione, magari climatica, o anche un determinato periodo dell’anno: in questo romanzo, ad esempio, un capitolo è stato dedicato al tepore ingannevole che si respira a maggio. Spesso è in essi che l’A. dà il meglio di sé e, anche in questo caso, le brevissime storie, svincolate dal resto, descrivono in pochissimi paragrafi e con un agghiacciante realismo, situazioni, eventi, vite parallele che, senza incrociarsi con quelle dei protagonisti, permettono di tratteggiare in un grande affresco la vita di Napoli intesa come un organismo vivente unitario con i suoi dolori e le sue false illusioni. Trovo affascinante come l’A. riesca in pochissime frasi a tracciare un racconto completo ed autonomo di grande fascino, pur nella sua concisione; al punto che giungo a ritenere che anche solo per questi micro pezzi di bravura vale la pena leggere il libro.