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Terrore e spavento in un nulla
Pietro Grossi, così definisce il suo ultimo libro Orrore:
“L’orrore non sta nella consapevolezza della sua esistenza, ma nella sua capacità mimetica”.
In questa definizione è insito veramente il fulcro della narrazione di questo testo, che si colloca a metà tra indagine psicologica-thriller e romanzo di formazione.
Tutto inizia quando una coppia di sposi, tra cui la stessa voce narrante, con il loro piccoletto tornano in Italia dagli Stati Uniti e si recano a far visita a degli amici, i quali raccontano loro una storia raccapricciante. Una casa misteriosa, in un bosco, che pare abbandonata, ma forse no.
All’interno la polvere del tempo ha depositato il suo velo. Ma fa eccezione un tavolino perfettamente lustro, un bagno dove si trovano bende e varie forniture ospedaliere, e un’orrenda, quanto inquietante maschera di cartapesta. Chi ascolta questa strana storia è uno scrittore, e questa narrazione lo incuriosisce. Decide di far partire la sua famiglia e di stabilirsi nei pressi della “famosa” casa. Inizia ad indagare, scoprendo che si tratta di un ex mulino, di proprietà di un medico in pensione. Qualcosa di sinistro sicuramente vi accade dentro, ma cosa? E’ un abisso oscuro che fagocita chiunque, anche il nostro scrittore. Il libro è una angoscia totale. Ad iniziare dalla copertina: questo teschio con le orbite oculari vuote, per proseguire con quella che diventa ben presto un’ossessione. C’è l’”orrore” allo stato puro che risiede ovunque, nel quotidiano, anche laddove non ce lo aspettiamo. C’è l’orrore che è insito in ognuno di noi, in un continuo crescendo di tensione adrenalinica. Ma in tutto questo c’è una mancanza, un’assenza, un finale sospeso e mai raggiunto. La prosa è priva di inutili fronzoli, trasmette molto bene quel senso di dolore e di ansia, ma è fine a se stessa. Inizia e termina lì, lasciando un sospeso che compromette gravemente il giudizio sul testo.