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Intercessioni del fato
Sono trascorsi quasi sei mesi dai fatti dell’alluvione, Bordelli ha lasciato il suo posto di lavoro, si è trasferito in quel dell’Impruneta in un casolare di campagna e ha iniziato a dedicarsi all’agricoltura. Non può dimenticare quanto è successo, soprattutto ad Eleonora, ma non può nemmeno far finta che non sia accaduto niente. I suoi colleghi riescono a spiegarsi soltanto in parte la sua decisione, Piras, per il particolare legame che lo lega al commissario, non crede minimamente a quelle presunte ragioni. Nel mentre della sua nuova vita, Panerai, il macellaio che abbiamo conosciuto in “Morte a Firenze”, viene rinvenuto morto suicida e una contessa, che da circa quattordici anni ha perso il figlio Orlando, si rivolge a Franco. Pare che il giovane abbia deciso di togliersi la vita volontariamente, tutto nella dinamica del fatto e nel ritrovamento fanno pensare a questo ma lei non vi crede. Dopo le prime titubanze Bordelli cede al richiamo di quell’istinto a cui non potrà mai sottrarsi e non solo scopre la verità circa la dipartita di Orlando, ma riesce anche ad usare lo stesso “stratagemma” per far sì che il destino faccia il suo corso con gli ancora (per poco) superstiti assassini del piccolo Giacomo.
Avvalorato da un linguaggio fluente e descrittivo che non lascia niente al caso, Marco Vichi ci regala un degno seguito dei fatti conosciuti nei giorni dell’alluvione del 1966. La trama scorre rapida, l’intreccio è solido e il mistero è incardinato su un doppio binario: da un lato l’indagine per scoprire della morte di Orlando, dall’altro, dalla necessità di rendere giustizia a un crimine che “senza l’intervento del fato” resterà irrisolto. Purtroppo però, a mio modesto parere, questa veste di giustiziere della notte stona un po’ con l’immagine fino ad ora definita e ideata del commissario Bordelli, tanto da far storcere il naso o domandarsi se detta scelta era proprio necessaria. Ad ogni modo, una lettura rapida, non impegnativa e con il giusto mix di giallo, umanità, storia e riflessione.