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Quando l'ispettore Coliandro faceva il ristoratore
Emilio Zucchini, detto Zucca, è il proprietario de “La vecchia Bologna”, osteria tipica specializzata nella cucina regionale classica. Il suo amico Nicola Fini, detto Nick, è un padre disperato, abbandonato dalla moglie (che potrebbe essere pure morta!) senza un perché o un per come. Deve cercare di tenere insieme la famiglia e rincuorare i figli, Giulia ed il piccolo Tommaso. Giorgio Lodi, detto Joe il Solitario, è un fallito, che ha buttato alle ortiche l'unica occasione di fama mettendo in scena una lite furibonda a X-Factor. Ora è fuggito dal mondo e cerca solo l’occasione di rimettersi in piedi.
Sarà proprio questo desiderio di Joe a sconvolgere le vite di tutti e tre. Organizzerà la più bislacca delle rapine in banca sperando di dare una svolta alla sua vita. Sfortuna vuole che la stessa banca debba essere l’obiettivo di un paio di delinquenti abituali che debbono recuperare, per ordine del loro boss, un oggetto custodito in una delle cassette di sicurezza. Alla fine Joe riuscirà a sottrarre il “bottino” ai due mafiosi, ma per fuggire piglierà l’auto di Nick, dove, sul sedile posteriore, dorme Giulia.
Nei successivi giorni i tre protagonisti ed i comprimari di questa vicenda surreale saranno coinvolti in una girandola sempre più vorticosa di eventi, il più dei quali originati dalla dabbenaggine e dalla faciloneria con la quale si muoveranno tutti (polizia compresa) sino all'inevitabile, prevedibile esito finale.
Con un romanzo è possibile trasmettere mille messaggi: si possono analizzare i sentimenti umani, si può far rivivere la Storia o inventarla ex novo; si può fare un opera con intenti morali o provocatori; si possono evocare gesta epiche o si può comporre una sinfonia nella quale le parole prendono il posto delle note. Oppure si possono, banalmente, raccontare degli avvenimenti, snocciolandoli uno dietro all'altro, come grani di un rosario dove più ce ne sono e meglio è, o ameno così si suppone. Ahimè.
Purtroppo l’A. di questo libro non è andato più in là di quest’ultimo povero risultato. Con un ritmo degno delle slapstick comedy dell’epoca del muto, ha affastellato tutta una serie di avvenimenti, incastrandoli freneticamente gli uni negli altri senza concedersi un attimo per rifiatare, ma donando assai poco al lettore.
Ho comprato “Il tortellino muore nel brodo” perché m’incuriosiva il titolo (tipico mantra felsineo!) e l’idea stessa di un oste investigatore che s’aggirava tra le vie di una città a me cara. Purtroppo le aspettative sono andate tutte, tristemente, deluse. Come spesso mi è accaduto di notare, l’ambientazione bolognese serve solo ad imbastire un giro turistico per la città, inanellando i tipici luoghi comuni a cui neppure John Grisham con “il Broker" seppe sfuggire.
In uno stile svagato e leggero (troppo svagato e leggero, però), l’A. ha cercato di compensare il vuoto di contenuti moltiplicando le situazioni, spesso paradossali, e l’azione concitata. Purtroppo, per usare una analogia che sarebbe piaciuta al protagonista, Emilio Zucchini, il romanzo non è come una porchetta che acquista sapore quanto più aggiungi ripieno. Sarebbero stati sufficienti meno ingredienti, cercando però, di dare più gusto ad ognuno di essi; analizzando e curando più attentamente le descrizioni; rifinendo le personalità dei protagonisti. Se queste componenti fossero state ben dosate, non avrebbero tolto nulla all'ambientazione comica, ma ne avrebbero accresciuto il divertimento. Anche la ricerca spasmodica della battuta ad effetto ad ogni costo, del guizzo ironico anche se non è perfettamente efficace, alla fine stanca, come troppo zucchero nei dolci.
Insomma per quanto l’idea di base fosse simpatica e lo stile scelto per narrare azzeccato, alla fine ne è uscita un’opera solo parzialmente soddisfacente, a cui manca quello spunto in più per risultare veramente piacevole. Peccato!