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Avvincente e di grande qualità
Fa caldo, quel caldo umido opprimente della pianura padana quando mi accingo a iniziare a leggere questo romanzo e subito, già dalle prime pagine, mi trovo in un caldo analogo, asfissiante come può essere quello di un Ferragosto a Milano, quando il cemento dei palazzi e l’asfalto delle strade amplifica la sensazione di mancanza d’aria, quando i miasmi delle fognature si riversano sui marciapiedi, risalgono i muri e penetrano nelle indifese finestre spalancate. Corre l’anno 1972 e nel deposito bagagli della stazione Centrale aleggia un crescente tanfo di putrefazione, tanto che l’impiegato va alla disperata ricerca di quello che ipotizza essere un topo da chiavica morto, ma quella puzza nauseante proviene da una valigia che, una volta aperta, rivela un cadavere a pezzi. Chi sarà mai la vittima, chi sarà l’assassino? Il caso viene affidato al giovane vice ispettore Cavallo, con poca esperienza, ma tanta buona volontà e soprattutto un gran desiderio di giustizia. Nonostante tutto resterà un delitto insoluto fino a quando, una trentina di anni dopo, il vice ispettore, diventato nel frattempo commissario, un uomo disilluso dalla vita, coglie nella vice ispettrice Valeria Salemi, da poco arrivata, quella determinazione e quella volontà di sapere che lo avevano animato quando lui era alle prime armi. Con il suo aiuto verrà a capo di quell’omicidio irrisolto, il cui colpevole non finirà dietro le sbarre perché morirà per un attacco cardiaco. Si conclude così uno dei più bei gialli che mi sia capitato di leggere e se giungere alla soluzione ha costituito per me una vera e propria attrazione pur tuttavia ha comportato anche un certo dispiacere, perché quando un libro è scritto bene, quando è ricco di contenuti e riesce a far immedesimare il lettore in qualcuno dei suoi protagonisti non può essere che un’opera di notevole pregio. Arrivati all’ultima pagina e chiudere il libro se da un lato è motivo di soddisfazione per la certezza di aver letto qualcosa di valore, dall’altro è causa di un certo dispiacere, perché allontanarsi da una certa atmosfera, non essere più accanto a protagonisti come Cavallo, ci rende inevitabilmente esangui, come se fossimo privati di colpo di uno dei non certo molti piaceri della nostra vita. Per quanto concerne la trama che si sviluppa in un arco di tempo che addirittura va dagli ultimi anni di guerra all’inizio del secolo corrente non intendo aggiungere altro, sia perché fitta come è di eventi correrei il rischio di disorientare il lettore, sia soprattutto perché non intendo togliere il piacere della scoperta. Fra l’altro questo è uno dei rari libri in cui è difficile trovare un difetto, tanti sono i pregi, a cominciare dallo stile, dall’impostazione della struttura, alla capacità di ricreare con poche misurate parole ambiente e atmosfera, nonché l’indubbia abilità nel sondare l’animo umano, nello scavare nei personaggi, rivoltandoli come un guanto. Il nome del padre, pertanto, non è solo un romanzo riuscito, ma è in grado di andare oltre la tipicità del genere, in perfetto equilibrio fra suspense e indagine intimistica, tanto da poterlo considerare, almeno da parte mia, un vero e proprio capolavoro.
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