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Confessioni
«Signorì, per le cose si combatte. Si trova il coraggio e si combatte. Perché le cose, tutte le cose, quelle belle e quelle brutte, contano solo per quanto si è disposti a lottare. Così è. Dalla vita non si scappa, dalle avversità non si scappa. Figuratevi se si può scappare dall’amore.» p. 156
La sequenza degli eventi è anche troppo semplice, questa volta. Ricciardi se ne rende conto sin dai primi rilevamenti sul luogo del delitto. Il ritrovamento del corpo del defunto assassinato Padre Angelo, universalmente noto per essere una sorta di santo in terra, avveniva infatti sulla sottile lingua di tufo vicino alla spiaggia dell’acqua minerale di Posillipo e sin dalla posizione del cadavere – in contrapposizione con il fantasma sito in lontananza – risultava evidente che lo stesso vicario di Dio si era trovato in ginocchio, in piena notte, in una circostanza tale da non allertare i sensi del gesuita, da non fargli pervenire alla mente la possibilità di una morte imminente, improvvisa, perché probabilmente l’assassino trattavasi di persona a lui conosciuta o comunque di cui poteva presuntivamente fidarsi. A questa prima indagine il corpo militare veniva chiamato a indagare anche su una misteriosa sequenza di furti a danno dei commercianti di Napoli e organizzata da quattro giovani che “giocano” sempre un passo avanti alle forze dell’ordine, e ancora, lo stesso Luigi Alfredo e lo Stesso Maione venivano chiamati a rendere conto a quelle decisioni, paure, e timori radicati negli anni.
In particolare, Ricciardi viene chiamato a far i conti con l’amore per la sua Enrica; dovrà affrontare la madre, ma prima di tutto verrà chiamato a combattere i suoi demoni, la sua maledizione, il suo esser convinto di essere affetto da pazzia. Dall’altro canto, Maione, dovrà far i conti con Luca, figlio primogenito nell’arma a sua volta, venuto a mancare cinque lustri prima, ma alla cui dipartita ancora tutta la famiglia non si è “abituata”. Il brigadiere, si renderà conto, a causa di una serie di spiacevoli concause, di non essere affatto riuscito a superare la perdita.
Da questi brevi assunti ha inizio “Il purgatorio dell’angelo. Confessioni per il commissario Ricciardi” di Maurizio De Giovanni. Brevi assunti che rendono immediatamente chiaro al lettore quella che sarà l’essenza dell’opera. Perché tutto, di fatto, ruota attorno alla confessione; dagli omicidi, ai furti, agli stati emotivi. E a una storia solida, ben costruita, con un intreccio narrativo senza sbavature, con due indagini parallele che convergono nella morale finale, l’opera è avvalorata da un linguaggio fluente, raffinato, che riesce ad incatenare le vicende l’una con l’altra, dando altresì spessore ai personaggi. Alcune situazioni, inoltre, sono di una durezza e sofferenza tale, che il conoscitore stesso ne resta colpito nell’intimo, emozionato. Unica pecca del componimento, è che forse, talvolta, lo scrittore tende a perdersi in qualche descrizione di troppo, qualche descrizione che si sarebbe potuta omettere.
Ad ogni modo, questo nuovo capitolo delle avventure, si conferma una bella lettura, una lettura, profonda, analitica e introspettiva che riesce a descrivere ogni increspatura dell’animo umano invogliando alla riflessione e facendo sperare in una repentina, e probabilmente conclusiva, nuova pubblicazione dei fatti inerenti uno dei commissari più amati della letteratura contemporanea.
«Oggi ho scoperto una volta di più che il dolore, la mancanza possono renderti cieco e sordo. Che sono pericolosi perché ti impediscono di vedere quello che invece dovresti vedere. Questa mia è una confessione che ti faccio, Lucì. E come in ogni confessione, io ti chiedo perdono. Perdonami, amore mio. Perdona questo vecchio orso fesso, che crede che con la forza e con la chiarezza si risolve tutto e che invece non è capace nemmeno di vedere davanti al proprio naso.» p. 278
«Vedi, fratello mio, il purgatorio non è per gli angeli. Il purgatorio dell’angelo è in terra» p. 302