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Sara, la donna invisibile.
Quando Sara Morozzi, detta Mora, viene ricontattata dalla “collega” e “amica” storica, Teresa Pandolfi, detta Bionda, è in pensione già da quattro anni. Il suo aspetto è quanto di più trasandato e anonimo ci sia perché, seppur non sia più in servizio, non può rinunciare a quella abitudine dello stare nell’ombra, non può rinunciare ad osservare, a leggere i gesti, le espressioni, i muscoli, i sussurri degli interlocutori, lontani o vicini che siano, non può indossare una maschera e fingere dopo che la sua vita è sempre stata dettata da menzogne e bugie per ottemperare a quello che in verità era la sua missione, il suo lavoro. E adesso, quel suo carnato chiaro, marmoreo, quelle occhiaie dettate dalle notti insonni e quei volontari capelli grigi, non fanno che dimostrare che nonostante la perdita del grande amore, Massimiliano, e a distanza di breve tempo anche del figlio Giorgio, Mora è ancora Mora. Perché per quanto voglia eclissarsi, negarsi alle sue origini, il suo mestiere lo ha tatuato sulla pelle. Ecco perché non riesce a rifiutare la proposta della Bionda, ecco perché si trova a fare chiarezza, al fianco dell’ispettore Davide Pardo, sulla carcerazione di Dalinda Molfino e sul conseguente affidamento della figlia seienne di quest’ultima al fratello Giampiero e alla moglie Doriana. Tutto sembra chiaro ed inequivocabile nella ricostruzione dei fatti: la Molfino ha ucciso il padre a colpi di brutali fendenti mentre era strafatta, poi si è assopita e messa a riposare nei pressi del cadavere. A prova e sostegno della sua colpevolezza; l’averla trovata con tracce organiche dell’uomo sulle mani, il suo non negare la possibilità di aver commesso il delitto perché vigente tra il padre e la figlia un profondo odio, il suo non ricordare alcunché. Eppure, eppure, eppure… Dalinda è preoccupata per Beatrice talché chiede di parlare con Pardo, l’agente che l’ha arrestata. L’uomo, a causa di un episodio del passato che lo ha profondamente segnato, non prende alla leggera le dichiarazioni della galeotta e ne informa il collega Luca. Il passaggio ai piani alti è rapido e veloce. Sara, che a questo punto entra in scena, ben intuisce la fondatezza delle rivelazioni e, dall’analisi del fascicolo, dal comportamento del fratello, dai referti del medico legale e anche dalla volontà di non difendersi della stessa accusata, arriva alla conclusione che la ricostruzione proposta quale base dell’accusa è tutt’altro che così solida e inattaccabile.
Ha inizio in questo modo la nuova e eclettica avventura proposta da Maurizio De Giovanni. Quelli narrati sono solo alcuni stralci di quella che è una storia avvincente e rapida nella sua interezza. L’autore torna in libreria con quello che è il primo capitolo di una serie forte, una serie che tocca molteplici tematiche, che è caratterizzata da un giallo comune e inusuale al contempo, un enigma da scoprire e che è altresì munito di personaggi tangibili e concreti che si fanno amare per il loro mistero e per la particolarità sin dalle prime battute. Seppur l’epilogo e il colpevole siano intuibili, la lettura non scema di attrattiva e tiene incollato il conoscitore senza difficoltà dal suo inizio alla sua conclusione.
Al tutto va sommato uno stile chiaro, limpido, pulito, veloce, accattivante e scorrevole in pieno trademark del napoletano. Tuttavia, lo scrittore riesce anche a rinnovarsi. Se in questo scritto troviamo caratteri narrativi comuni a quelli che sono i precedenti elaborati e a cui siamo stati abituati negli anni, al contempo ne troviamo altrettanti di rigenerazione, innovamento. La redazione è svecchiata, ringiovanita, ripulita ma sempre e comunque vivida e genuina.
Un ottimo inizio per quella che spero potrà essere una serie lungimirante, durevole e affascinante. Maurizio, non farci scherzi eh!
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