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un rapimento devastante
L’ultima fatica letteraria di Vito Bruschini, Rapimento e riscatto, riporta il lettore a rivivere, in forma romanzata, il rapimento di Paul Getty jr, nipote del miliardario americano, rapito quasi per gioco, da una banda di malavitosi locali, e poi ceduto alla ‘ndrangheta calabrese. Ambientato a Roma, è il racconto di questa vicenda, narrata con un profondo taglio giornalistico. Narra delle lacrime di una madre, i dubbi di una nazione che pensava ad un imbroglio, l’intervento della CIA, le indagini della polizia, lo sconcerto e le difficoltà di un ragazzo sedicenne che rischia di non fare più ritorno a casa.
Di fatto è una storia che segna un’epoca, e vede l’ingresso trionfale della ‘ndrangheta nelle cronache e nel tessuto sociale italiano. Punto determinante del libro è lo scontro duro tra Gail Harris, la madre del ragazzo, disposta a qualunque cosa pur di riportare a casa suo figlio sano e salvo, e Jean Paul Getty, l’uomo più ricco al mondo, che non vuole assolutamente pagare il riscatto. Il ragazzo scompare nella notte del 10 luglio 1973, nei pressi di Piazza Farnese a Roma. Rapito prima da una banda di malavitosi locali, e poi ceduto alla ‘Ndrangheta, il giovane subisce ogni sorta di angherie e soprusi, di violenze psicologiche. Il problema è che tutti credono ad una finta arguita dallo stesso per carpire i soldi al nonno, fino a quando non si vedono recapitare al Messaggero l’orecchio amputato. Così diventa il caso più seguito del tempo. Un evento che segna irrevocabilmente la vita stessa del giovane, in seguito mai più ripresosi dal tragico fatto, finendo la propria vita con droghe potenti. Morirà nel 2011 a 54 anni, dopo aver subito un ictus, provocato da una ingestione di metadone, valium ed alcol, che lo ha reso quasi cieco, disartrico e paralizzato.
Una storia drammatica, angosciante, scritto con una prosa serrante, che non concede tregua al lettore, lasciandolo con il respiro affaticato. Una riflessione profonda, anche, di come persone siano, comunque, votate all’autodistruzione e all’incapacità totale di vivere appieno il dono della vita.