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Messinscena isolana
Coinvolgente e disincantato, “Assandira” è tra i romanzi più noti di Giulio Angioni. Vi si racconta la vicenda di un anziano pastore il cui figlio, dopo l’esperienza dell’emigrazione in Nord Europa, ritorna in Sardegna con una bella e intraprendente danese e l’entusiasmante progetto di aprire un agriturismo tra le terre e l’ovile di famiglia.
La coppia, allettata dall’idea di fare soldi, costringe il vecchio a prendere parte alla messinscena ben orchestrata a uso e consumo dei turisti, disposti a pagare profumatamente pur di vivere, seppure per il tempo di un breve soggiorno, alla maniera dei pastori antichi. Capanne di frasche a forma di nuraghe, canto a tenore e ballo tondo, abbigliamento arcaico degno del miglior folklore, immagini banditesche, pecora a cappotto e rituali pastorali…: tutta una mascherata!
“Sembrare. Assandira era tutto un sembrare. E sembrare era tutto.”
L’uomo si ritrova così, suo malgrado, dopo una vita di duro (e vero) lavoro appresso alle greggi, a vestire per finta i panni del pastore; deve persino indossare cose sorpassate, come i gambali e la berritta, l’antico copricapo sardo che forse nemmeno suo nonno aveva mai messo in testa.
Con uno stile degno di un grande narratore, l’autore ben evidenzia il disagio di chi è incapace di adattarsi a compromessi dettati da certe logiche, così come punta il dito contro l’esotica e paradossale immagine della nostra isola che viene spesso diffusa con troppa leggerezza. Temi che fanno molto riflettere. Non svelo altro, se non che l’epilogo, dopo tanti (amari) sorrisi strappati dalla narrazione, sarà drammatico.