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Brigadie’ mi spiace d’aver sparato al Commissario
29 dicembre 1932, al termine della rappresentazione della “sceneggiata” sulla canzone “Rundinella” il primo attore, Michelangelo Gelmi, spara alla moglie fedifraga, Fedora Marra, uccidendola. Sin qui nulla di anomalo, visto che è previsto dal copione ed avviene tre volte al giorno, una per ciascuna replica quotidiana. Il problema è che, questa volta, la pistola non era caricata a salve e la donna muore veramente.
Il caso sembrerebbe di facilissima soluzione: non ci sono dubbi sulle cause della morte né sussistono incertezze sull’identità dello sparatore. Però Gelmi giura e spergiura d’avere caricato a salve la sua arma, come al solito. Quel proiettile non doveva esserci. Però nessun altro poteva avere accesso alla pistola e la Marra, coniugata effettivamente con Gelmi, tradiva il marito. Tutto chiaro? Non per il Commissario Ricciardi ed il Maresciallo Maione che, pur incalzati dal Questore Garzo a chiudere il caso entro l’anno che sta per finire, vogliono vederci chiaro.
Si intrecciano con questa vicenda le storie personali dei due investigatori: Ricciardi, finalmente, ha preso a frequentare Enrica, ma gli ostacoli che si frappongono tra i due paiono senza fine. Maione, invece, vuole aiutare il dott. Modo a risolvere uno straziante caso personale.
Come al solito De Giovanni ha confezionato un piccolo capolavoro, nel quale la trama poliziesca ben si miscela all’analisi sui sentimenti umani ed alla consueta “lezione” privata sulla potenza delle canzoni napoletane e delle storie che in esse vengono narrate.
Tributato questo doveroso riconoscimento ad uno dei principali romanzieri contemporanei, debbo dire che “Rondini d’inverno” mi è parso lievemente sotto tono rispetto all’opera precedente. Pur rispettando i meccanismi già noti e, di per sé perfetti, ho percepito una minore partecipazione emotiva ed una indagine psicologica più superficiale di quante ce ne fossero nei precedenti romanzi della serie.
La storia ricalca molto il romanzo d’esordio “Il senso del dolore”, non solo nell’ambientazione teatrale, ma anche per i temi trattati, sostanzialmente quelli della gelosia e dell’amore. L’unica vera tensione narrativa è quella sintetizzata nel titolo che ho ritenuto di dare alla recensione. Voglio tranquillizzare: non si tratta di un odioso “spoiler” al romanzo, giacché è lo stesso autore ad inserire la “frase-rivelazione” nelle primissime pagine del libro, oltre che nella presentazione in quarta di copertina. Quella frase è proprio il fil rouge della storia con tutti i pro e i contro che ciò comporta.
Il romanzo, perciò, sino da subito, assume le caratteristiche di una “Cronaca di una morte (??) annunciata” e l’interesse del lettore viene distolto parzialmente dalla trama narrata per essere catturato da un’incontenibile ansia sulle sorti del personaggio beniamino. Ovviamente lungi da me svelare l’epilogo, ma debbo ammettere che, questo incomprensibile “sgarbo” fatto al lettore, fa passare il resto della storia in secondo piano, quasi fosse il fondale teatrale davanti al quale si svolgerà il dramma personale di Ricciardi.
Detto ciò con una punta di rimpianto (ma anche di ammirazione, perché la trovata narrativa è veramente potente e sotto certi risvolti geniale) debbo rinnovare le consuete lodi per lo stile perfetto e per la toccante analisi sulle tortuosità dell’animo umano che ogni volta De Giovanni ammannisce al lettore. Concludo con un sentito grazie per questa mirabile serie di romanzi che ha donato alla letteratura italiana gemme narrative preziose.