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L'estate degli inganni
 
L'estate degli inganni 2018-02-21 10:16:33 ornella donna
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ornella donna Opinione inserita da ornella donna    21 Febbraio, 2018
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Verità o depistaggio?

Roberto Perrone, dopo aver scritto La seconda vita di Annobale Caness, propone ai suoi lettori una seconda avventura, dal titolo: L’estate degli inganni, sempre con protagonista assoluto l’ex colonnello in congedo dei Carabinieri, Annibale Canessa detto “Carrarmato” proprio per la sua peculiare capacità di prevedere in anticipo le mosse degli avversari, in modo da essere pronto ad affrontare gli altri. Lui è un uomo particolare, tutto azione, nitido nelle soluzioni, a volte un po’ cinico e privo di sentimenti.
In questo caso il colonnello è con la cognata e la nipote in vacanza ad Israele quando viene avvicinato da agenti dei Servizi Segreti, che lui aveva già ampliamente notato in precedenza. Il colloquio è tragico: riguarda rivelazioni stupefacenti su un tragico evento avvenuto in Italia tanti anni prima: lo scoppio di una bomba in una stazione in estate. La memoria del lettore non può che riavvolgere il nastro della memoria e pensare alla strage della stazione di Bologna del 2 agosto del 1980. Nel romanzo il riferimento non è mai esplicito, ma c’è quella che alcuni critici hanno definito come “una assonanza di eventi”. Lo stesso autore lo precisa nella conclusione, lui prende un evento tragico ed oscuro della Storia italiana, e ne costruisce una trama perfetta e precisa per un libro. Lo stesso Annibale lo spiega bene:
“Ai tempi in cui vestivo la divisa non mi sono mai occupato di stragi. (…) Era un tipo di inchieste che mi provocavano inquietudine. Non sopportavo il doppio gioco di tanti membri dello Stato, dai livelli più alti ai più bassi, non comprendevo che strategia ci fosse dietro le bombe. Qual era il vero scopo di chi le metteva? Ogni volta mi sfuggiva il senso e le risposte che davano in molti non mi hanno mai convinto. E in tragedie come queste non capisci dove sono gli amici e dove sono i nemici. (…) C’è chi ha giocato sporco nelle indagini all’attentato alla stazione. E si tratta di quadri dello Stato. “.
Con un commento, finale, amaro, ma alquanto realistico sul nostro Bel Paese:
“questo Paese non sa accettare la verità, preferisce crogiolarsi nell’idea del complotto. Tanti morti, tanto dolore, anche nostro, personale, per tirar fuori questa storia, e la maggioranza degli italiani pensa che sia l’ennesimo depistaggio, per celare chissà quali oscure trame.”.
Tornato in Italia, infatti, Annibale Canessa è costretto ad occuparsi di risolvere una specie di mistero italiano, che ben presto assume le caratteristiche dell’intrigo internazionale, che tocca la Germania, il Mediterraneo, la Gran Bretagna. La verità ha un prezzo. Un prezzo, anche personale, troppo alto per il nostro protagonista, che lui non esita, comunque, a raggiungere. Infatti lo stesso approccio risolutore Canessa lo ha nella vita privata: la relazione sentimentale con Carla, una giornalista, vive di una intesa sessuale molto forte, solida, si amano “ogni volta come se non ci fosse un domani”.
La storia si sviluppa tra un “prima”: gli anni della Prima Repubblica, e della vecchia politica animata da personaggi brutti, squallidi, e senza scrupoli e un “dopo” che è l’oggi, in cui si muovono Canessa e i suoi collaboratori. Il romanzo ha una doppia struttura: i due filoni narrativi accolgono poi all’interno storie, episodi fini a se stessi, ritratti di personaggi che prendono vita con uno stacco veloce: accade per il ragazzo che sognava di diventare pilota d’aereo, per il burocrate soprannominato “il topo” o per la giornalista Pina Colombo. Nessun episodio particolare, tutti elementi inseriti nel quadro più ampio della trama, che la arricchiscono e la completano. In questo l’autore conferma, ancora una volta, “la padronanza dei meccanismi narrativi”, come affermava Antonio D’Orrico, per il precedente testo.
Ne scaturisce una lettura perfetta, intrigante e misteriosa, che conduce il lettore, sicuramente, a domandarsi quale sia il confine tra la finzione letteraria e la dura realtà. Che penso sia molto labile, purtroppo!

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