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E' pericoloso, il freddo.
«Bisogna stare attenti, al freddo. Perché il freddo, alla lunga, entra nelle ossa e si insinua nelle anime. E quando si insinua nelle anime, le cambia; secca le sorgenti del sorriso, riempie col ghiaccio i vuoti che prima consentivano di passeggiare sull’orlo dei sentimenti, incantandosi davanti al panorama. State attenti al freddo.»
Con “Gelo” i Bastardi di Pizzofalcone sono chiamati ad intervenire su una duplice e differente indagine: se da un lato gli agenti si ritrovano alle prese con la denuncia silenziosa di una bambina che lamenta violenze e molestie dal padre, dall’altro, devono riscoprire dell’assassino (o degli assassini) di due fratelli, macabramente rinvenuti privi di vita nell’appartamento preso in affitto.
Le indagini scorrono rapide tra le mani del lettore che, per quanto riguarda il primo caso, facilmente intuisce la realtà che si cela dietro le parole delle piccola e dietro la facciata della sua famiglia, ritrovandosi ad essere pertanto maggiormente coinvolto dalla seconda inchiesta per una mera questione di approfondimento. Essendo infatti la problematica delle presunte violenze sessuali su minore davvero facilmente prevedibile, l’autore – così come il conoscitore – tende maggiormente a soffermarsi sulla vicenda più sviluppabile.
La metrica narrativa adottata è la medesima a cui siamo stati abituati tanto con la serie in questione che con quella di Ricciardi, lo stesso vale per la struttura dello scritto, riassumibile, nel medesimo e ormai affezionato schema logico.
L’opera per le ragioni sopra menzionate convince soltanto in parte non brillando, di fatto, per originalità. Resta comunque un interludio piacevole che marca su quelle che sono le sfere affettive dei protagonisti.
Si potrebbe ipotizzare che la stessa giunga meno a causa delle vicende trattate, delle argomentazioni imbastite. Denominatore comune delle precedenti era l'esaminare sempre di questioni che facilmente solleticavano le corde più intime del lettore. In “Gelo” ci troviamo proprio di fronte alla sensazione di “gelo”, gioco di parole atto a rimarcare la costante sensazione di separazione fra chi scrive e chi legge.
Gradevole seppur non eccezionale e indimenticabile.
«No, non mi ero rassegnato. Ma non erano più bambini, signorì. Me li ero persi. Il tempo buttato non è stato quello del viaggio, sono stati i sedici anni che ho passato in galera a pensare a quanto sarebbe stato bello quando li avrei rivisti. Ormai erano due estranei. E io ho scoperto chi ero diventato, in quei sedici anni: un uomo inutile. La vera pena, signorì, non è la libertà che ti levano, è l’uomo che ammazzano. E sono più morto io, oggi, di quel povero cristo che ho preso a pugni tanti anni fa per una birra di troppo»
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