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Il fascino tenebroso e maledetto degli anni '50
Alessandro Defilippi ne Viene la morte che non rispetta affronta un carosello di delitti, nei primi anni Cinquanta a Genova, che affondano le radici lontano al tempo della guerra civile. A prima vista è un giallo, in realtà un atto d’amore per gli anni Cinquanta, elegante e sottilmente “retrò”. Tanti gli elementi siffatti che a sostegno di questa tesi compaiono nel testo: il telefono di bachelite, la radio Telefunken, la suora
“con il velo puntuto ed ampio come le ali di un gabbiano”,
la portinaia che forse dorme in un cassetto della credenza massiccia. Siamo nel 1952, e sempre vivida, anzi vividissima, è la guerra civile e il suo ricordo: ieri pareva una cascata, ora un rubinetto da cui gocciola di tanto in tanto qualche piccola perdita di sangue. E così entra in scena il colonnello Anglesio a dipanare il bandolo di una matassa intricata e tremenda. Di delitto in delitto ed efferate esecuzioni, che vendono firmate in una lingua iniziatica, il griko, ovvero il greco imbastardito con il dialetto leccese:
“Erkete o Tanato ti e rrespettei ma to trapanitu to koftero”, “Viene la morte che non rispetta. Con la sua falce affilata. E presto ci annota nella lista.”
Così sul maggiolino viaggia la morte supportata da una “maledetta fotografia”. Così vengono uccisi: il liberale professor Artieri, il fascista torturatore Traverso, la vecchia Adele, significativa nel lessico familiare di Artesio (“diceva che per lei ero quasi un figlio”), il cognato del colonnello, il fratello di Laura, la donna che riconduce a precedenti pagine di Defilippi, dal manicomio di Pratozanino alle acque di Capo Noli, una scomparsa mai accettata dal marito, un impedimento allo svolgersi della sua relazione con Letizia, figlia di uno dei maggiori armatori di Genova. Sullo sfondo vi è la Benedicta, l’Abbazia al confine tra Piemonte e Liguria, e il ricordo di 147 partigiani massacrati nell’aprile del 1944. Una gara che allinea tutti i personaggi di Viene la morte che non rispetta e vede tutti trattati uguali: sia le vittime che i carnefici che gli investigatori.
Ma c’è un tempo per tutto, anche per la verità. Quella verità che l’autore scova in un proverbio culinario e che lo porta ad affermare che:
“il mese delle cipolle viene per tutti.”
Proverbio che declinandolo appassionatamente ai fornelli si va dalla zuppa di pesce alle boghe fritte, dalla buridda di stoccafisso alla focaccia dorata d’olio e ben salata e il Pigato come nettare. Infatti in questo testo il cibo è visto come fonte di piacere, consolazione, nutrimento, intermezzo e sottofondo. Fino al finale con la cena della rinascita, in casa Anglesio, sconvolta da un fantasma.
Una alta letteratura di genere, parole e trama congegnate e scritte con estrema sapienza ed eleganza.