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La simbologia umana del Venerdì
Stefano Brusadelli nato a Roma nel 1955. Ha lavorato per molti anni nei giornali, tra cui “Il Mondo”, “Panorama”, occupandosi in prevalenza di politica italiana.. Ora scrive sulla “Domenica” del Sole24Ore. Nel 2013 ha pubblicato: I santi pericolosi. Nel 2015 ha pubblicato Le ali di carta: cinquanta incontri con personaggi italiani che parlano del “loro libro per la vita.”.
Ora per Mondadori pubblica Gli amici del venerdì. Ambientato in una Capitale allo sbando, l’autore, con uno stile chiaro e preciso, intesse un perfetto noir; dove il caso, il destino e la vendetta, con cui si può, a volte, regolare i conti della propria esistenza, sono gli argomenti principali del romanzo.
“Chi sostiene che la vecchiaia è la stagione della serenità mente. Senectus ipsa est morbus: e non solo per colpa delle malattie. (…) Si accorgerà che la vecchiaia è la stagione delle tempeste. Della rabbia per tutto quello che si è perso, e dell’angoscia per non avere più tempo a disposizione.”
Un brano questo tratto del libro che mi ha colpito in particolare per l’amarezza profonda e senza speranza che esprime. Inoltre rispecchia con abilità il contesto di tutta la vicenda. Una storia ambientata in una Roma degradata, composta da rioni popolari con grandi palazzoni, abitata da gente di ogni risma; con personaggi all’apparenza puliti ed onesti, che nascondono torbidi segreti e abitudini rivoltanti. E’ in un simile contesto che viene trovato morto un pensionato, Gerardo Pavese, sgozzato nel proprio bagno. Un uomo all’apparenza tranquillo, solitario, la cui unica consuetudine era quella di riunirsi a cena tutti i venerdì con un gruppo di anziani pensionati. L’uomo, poco prima di essere ucciso, aveva chiamato al telefono un suo vecchio conoscente, Ausilio Serafini, chiedendogli di poter conferire con lui. Serafini, ex poliziotto, ritiratosi a vita privata, garagista di mestiere non riuscirà mai a sapere qual era l’argomento che Gerardo voleva comunicargli e soprattutto lui non vede chiaro in questa morte così violenta. Così inizia ad indagare, soffermandosi, soprattutto, su quegli incontri del “venerdì”. Infatti il venerdì è il giorno della Morte per le Scritture cristiane; ma nella nuova tradizione imposta dalla nostra organizzazione sociale è divenuto anche il giorno della speranza, perché introduce l’agognato fine settimana. Quindi rappresenta meglio di chiunque altro cosa è in fondo la vita umana.
Serafini è il personaggio più interessante del libro: un vissuto doloroso, un matrimonio fallito, un lavoro abbandonato per una inchiesta finita male. E’ pieno di livore, amarezza, deciso a rimanere da solo per il resto della vita, non si aspetta più nulla. L’autore ce ne fornisce un ritratto nitido, ma ricco di sfumature. Lo stesso vale per Roma, non più descritta come ricca di sfavillanti luci, di bella gente, di negozi, di vita. E’ il ritratto di un luogo desolato, popolato da figuri loschi e poco rassicuranti, da persone che si lasciano vivere o che cercano ancora qualche sprazzo di gioventù perduta in squallidi incontri. Il ritratto di una umanità dolente:
“L’alba era l’unico momento di luce che sopportava. Ne apprezzava la mancanza di pietà. L’alba strappa tutti i veli posati dal buio, illumina senza misericordia ogni bruttezza e dissolve le illusioni. Una perfetta rappresentazione del suo modo di intendere l’esistenza”.
E’ un romanzo triste, ricco di introspezione psicologica; ma una ottima prova per uno scrittore molto promettente ed accattivante. Uno splendido e duro hard-boiled, che cala la Capitale in atmosfere dure e scabrose degne di Chandler, Hammett e Spillane.