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Cosa significa proteggere?
Ultimata la lettura dell’ultimo capitolo della fortunatissima serie letteraria di Andrea Camilleri, la sensazione che mi pervade è quella di una soffusa e delicata malinconia. Il commissario Montalbano si avvia inesorabilmente verso la terza età ed è ormai difficile ignorare quel mormorio che sussurra silenzioso tra le righe la parola fine. Eppure, è impossibile non innamorarsi una volta ancora di questo autore novantenne che, ormai impossibilitato a scrivere, ha ancora voglia di raccontarci il mondo. E di questo splendido personaggio che, nonostante gli acciacchi e la stanchezza, si appassiona sempre come un bambino a “quella matassa 'ntricata che è l'anima dell'omo in quanto omo”.
Sullo sfondo comico e coloratissimo di una Vigata diventata per l’occasione set di una fiction italo-svedese ambientata negli anni Cinquanta, prendono vita due vicende apparentemente indipendenti. Da un lato, una storia che fonda il proprio mistero nelle pieghe del passato. L’enigma è racchiuso in sei vecchi filmini superotto ritrovati per caso nella soffitta dall’ingegner Ernesto Sabatello. Un muro ripreso ogni 27 marzo dal 1958 al 1963 a partire dalle ore 10.25 del mattino per una manciata di minuti. Ma quale oscura ragione avrebbe spinto il padre dell’ingegnere a filmare un muro bianco per sei anni consecutivi?
Mentre Montalbano si lascia trasportare dalla curiosità di scoprire le passioni e le memorie celate dietro quel biancore, un’altra vicenda infiamma Vigata. La classe del figlio del vicecommissario Augello viene presa d’assalto da due uomini armati. Non ci sono vittime, solo minacce. Ma Mimì è nella classe, quel giorno, e per evitare il peggio, deve controllarsi, impedirsi di reagire alla violenza, proteggere. Anche a costo di sentirsi umiliato, di vedere gli occhi di suo figlio riempirsi di lacrime di vergogna. “Quanti modi di protezioni esistivano!”. Soprattutto al giorno d’oggi, in cui ci si sente minacciati da tutto, da ciò che si conosce e ancor di più da ciò che non si conosce, come le orde di persone che arrivano dal mare parlando un'altra lingua e pregando un altro Dio.
Per comprendere cosa è davvero accaduto in quella scuola, Montalbano dovrà addentrarsi nei cunicoli di un mondo per lui oscuro, quello dei giovani. Un mondo di “picciotti” che stanno insieme senza parlare, con le mani che si muovono freneticamente sui tasti di un cellulare e le pupille a punta di spillo, perse nel loro personale “globo isolanti”. Un mondo senza barriere, fatto di social network, amicizie virtuali e interconnessioni, che invece è terreno fertilissimo proprio per disagio e solitudine.
Nonostante la storia sia sempre condita dai divertenti siparietti cui Camilleri ci ha abituato e da tutti quei piccoli dettagli che ci fanno sentire sempre “a casa”, queste due delicate vicende investigative sono profuse di malinconia e introspezione. Non ci sono vittime o spargimenti di sangue. Non ci sono colpi di scena o invenzioni narrative. È un romanzo dal ritmo pacato, di riflessione. Su un mondo che negli ultimi decenni si è completamente trasformato. Sulle emozioni umane, che invece rimangono sempre le stesse. E sul significato più profondo della parola protezione. Ed è bello anche così.
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Grazie per la condivisione.
Ciao, Manuela
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