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Nel vento e nel mare
Come spesso mi capita, arrivo a scoprire un autore di successo soltanto anni dopo il picco massimo di diffusione e popolarità di cui ha goduto.
Preferisco prendermi il mio tempo, cercare di essere il meno influenzato possibile, vedere se il successo e la qualità di una serie si sono mantenuti negli anni prima di affrontarne il primo capitolo.
Ed è così che recentemente ho scoperto Maurizio De Giovanni e la celebre figura del commissario Ricciardi, ben undici anni dopo la sua prima comparsa.
Un bel tipo, questo trentunenne commissario di pubblica sicurezza presso la squadra mobile della regia questura di Napoli in piena epoca fascista.
Ad una prima occhiata si potrebbe affermare che tale Luigi Alfredo Ricciardi non goda tuttavia di particolare originalità bensì di caratteristiche ricorrenti che hanno fatto la fortuna del genere.
Prova ne sono il tipico carattere ostinatamente solitario e tenebroso che tuttavia non lascia indifferenti le donne che ne fanno la conoscenza, lo sguardo doloroso e trasparente, la pettinatura ribelle, l’ atteggiamento sarcastico nei confronti dei superiori ed una scelta professionale in contrasto con l’ ambiente familiare in cui è cresciuto.
C’ è però spazio per una trovata letteraria peculiare in grado di renderlo differente da qualsiasi altro personaggio, ovvero il Fatto. Ricciardi vede i morti, le anime lontane dai rispettivi cadaveri a reclamare attenzione, la loro immagine ed espressione nell’ attimo prima della fine. Sente le loro emozioni e le ultime parole ripetute nell’ ansia di trattenere l’ ultimo lembo di esistenza che scivola via.
Una capacità con cui ha imparato a convivere sin da bambino. Una condanna, una dannazione per un’ anima destinata all’ inquietudine. Quella stessa inquietudine che lo spinge a tenere sempre in movimento le mani piccole e nervose, a nasconderle nelle tasche per non rivelare la propria tensione, e a non dare un minimo di confidenza a nessuno al di fuori della devota e premurosa tata Rosa, del brigadiere Maione e del medico legale Modo.
Ed è così che ha imparato ad indagare sfruttando la conoscenza delle emozioni umane più che le parole dei testimoni. E affidandosi al fatto che i peccati originari di ogni infamia capaci di scatenare qualsiasi tipo di violenza sono la fame e l’ amore.
E proprio grazie al Fatto Ricciardi cerca di districare l’ intricata matassa dell’ omicidio di Arnaldo Vezzi, il più grande tenore del mondo la cui bravura è pari solo alla propria arroganza. Uno smacco per il regime e per il questore, che ama ripetere quanto la città sia sana e pulita.
La riuscita del romanzo sussiste nell’ eleganza dello stile di De Giovanni, abile a tracciare un giallo raffinato insolitamente attento al lato emotivo dei personaggi più che all’ azione e insuperabile nel delineare il profilo di una Napoli ventosa, contraddittoria e affascinante. Sono i notevoli pregi che ho riscontrato in questo ottimo esordio, ancora più rimarchevoli a mio avviso di un personaggio comunque interessante e intenso come Ricciardi che credo abbia espresso tutto il suo potenziale nelle successive opere.
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Commenti
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Un' altra conferma che in Italia abbiamo diversi autori di alto livello nel genere.
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Ciao, Manuela