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Un'ambientazione livida
Genova, il suo angiporto con le viuzze strette e maleodoranti, popolate da puttane e da bar equivoci, un cielo sempre coperto da cui scende impietosa una pioggia pressoché costante sono il teatro di scena di questo noir.
Si aggira in questo ambiente un feroce serial killer che ha come prede delle giovani donne, uccise e poi tagliate in due.
Un malinconico maresciallo dei carabinieri è incaricato delle indagini; è un uomo stanco, a cui la vita non ha più nulla da dire, ma che si illude di arrivare alla difficile soluzione del caso.
Il suo percorso si interseca con quello di Lorenzo Zingaro, il giornalista di cronaca nera del Corriere mercantile; anche lui vive in un limbo di infelicità e trova rifugio nell’alcool, soprattutto in compagnia degli amici del bar, un bel campionario di gente che vive al confine con la legalità, quando addirittura non l’ha già sorpassato da tempo.
Non ci sono eroi in queste pagine, non troviamo riscatti, ma solo personaggi vinti da tempo ed è questa caratteristica che connota in modo egregio tutta l’opera, dove in fondo i delitti e le indagini finiscono con il diventare un corollario, quasi al servizio del disegno psicologico dei protagonisti.
Non è, peraltro, che la vicenda sia modesta, anzi ha un suo sviluppo, apparentemente caotico, che si sbroglia nelle pagine finali in una soluzione logica, ma che lascia tanto amaro in bocca.
Questo battere e ribattere sul tema dei vinti lascia trapelare anche intenzioni che vanno oltre quelle del racconto di genere e finiscono con il costituire una specie di rappresentazione, in chiave altamente drammatica, di una società in cui, tutti, chi più chi meno, siamo degli sconfitti, davanti ai nostri occhi e a quelli dei pochi vincitori, alla cui furbizia dobbiamo rassegnarci.
Lo stile è nervoso, a volte addirittura i periodi vengono sgranati come raffiche di mitragliatrice, ma ci sono anche dei momenti riflessivi, soste per riprendere il fiato e per meglio comprendere la psicologia dei protagonisti.
Nell’insieme queste 95 pagine rappresentano l’occasione per una lettura gradevole e d’evasione, ma, giunti alla fine, l’amarezza prende gradualmente il sopravvento, incerti se identificarci con il giornalista o con il maresciallo, ma certi di un’unica cosa: da qualunque punto di vista si osservino questi due personaggi, nell’uno e nell’altro ritroviamo sempre qualcosa di noi, e restiamo delusi, non del romanzo, assai piacevole, ma di noi stessi.