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Come se la laguna fosse un essere senziente
Secondo una leggenda Il respiro della laguna invia segnali e premonizioni di eventi (“Come se la laguna fosse un essere senziente, dotato di qualità divinatorie!”).
In quest’atmosfera Alberto Ongaro muove il personaggio di Damiano Zaguri, capo dell’anticrimine veneziana, che con un antenato (“Gerolamo Zaguri, che lungo il secolo diciassettesimo aveva fatto parte dei misteriosi e segreti Signori di Notte, uno dei corpi di polizia della Repubblica di San Marco”) vive in stretta simbiosi (“E si insinuava che tra i due Zaguri, quello vivo e quello morto, si fosse creato con il tempo un rapporto, diciamo, medianico…” “E che lo spirito dell’antenato…. Non si limitasse ad assistere passivamente alle investigazioni del lontano nipote ma che addirittura le guidasse”) e in costante dialettica (“Parlare con il ritratto non era certo una novità”).
Sempre dagli avi, Damiano ha ereditato fascino (“Fra i suoi antenati, oltre al tenebroso Gerolamo figurava anche Pietro Zaguri – affascinante libertino amico di Casanova…”) e abilità poliziesche che da un indizio (“Un amuleto… dove lo hai trovato?”) conducono a ritrovare il neonato rapito, smascherando i retroscena della città e dei suoi potenti.
“Io… disprezzo uomini come lei. Ve ne state qui nelle vostre case milionarie e manovrate da lontano piccoli teppisti falliti, drogati, psicopatici, criminale, assassini di professione. Siete voi la Baia del Re, i veri produttori del male in questa città…”
Giudizio finale: mesmerico nelle premesse, lagunare nell’ambientazione, raziocinante nella trama.