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Con l'amaro in bocca
Ci sono libri che possono raccontarci molto di più di quello che in apparenza potrebbe sembrare. Libri che magari vengono classificati come polizieschi, noir, perché hanno tutti i crismi del genere, ma che poi sviscerati più in profondità ci parlano anche e soprattutto d’altro.
Il presente romanzo di Alessandro Robecchi, incentrato sulla simpatica figura dell’autore televisivo di programmi spazzatura Carlo Monterossi, “detective per caso” e grande appassionato di Bob Dylan, assolve proprio a tale scopo.
Nel libro esistono tre filoni narrativi, tre storie che riguardano personaggi differenti le cui vite piano piano cominceranno ad incastrarsi: poliziotti impegnati a risolvere un’indagine per trovare il famigerato “killer dei sassi”, il già citato Monterossi coinvolto con un amico fidato nella ricerca di una preziosa collana rubata alla madre di un’amica, ed un ragazzo che vive precariamente, in un casermone della periferia di Milano attorniato da indigenti, immigrati e bande criminali.
Man mano che si procede nella lettura si ha l’impressione che l’elemento del giallo, l’indagine di polizia, ceda progressivamente il passo ad altre considerazioni, altre riflessioni che riguardano la città di Milano, specchio di tutto quello che succede nel resto d’Italia. Infatti il romanzo di Robecchi funge da lente di ingrandimento, mettendoci sotto agli occhi tematiche estremamente attuali che riguardano il tema dell’immigrazione straniera, delle case popolari che vengono occupate abusivamente, e più in generale delle periferie urbane degradate, abbandonate e lasciate soffocare e che pertanto diventano terreno fertile per la criminalità. Contrapposta a questa realtà si specchia la parte di città che rimane indifferente a tutto questo, la Milano borghese, ricca e benestante che si chiude in sé stessa, nelle zone residenziali del Centro Storico in cui scorre denaro a fiumi (senza porsi troppe domande su come è stato guadagnato) e dove “…non basta farsi belli con l’annata del vino” perché “devi sapere anche quella del mobilio”. L’autore sembra poi scavare ulteriormente, stabilendo un ipotetico collegamento tra la precarietà di alcuni dei suoi protagonisti ed il passato che li coinvolge, che richiama alla memoria la seconda metà degli anni ’70, la lotta di classe e la contestazione (anche) armata e violenta della sinistra extra parlamentare.
In definitiva, a lettura ultimata di questo gradevolissimo libro, rimane una sensazione di tristezza, di impotenza, in cui sembra che effettivamente tutti quanti possano avere torto marcio (esattamente come nel titolo del romanzo), favorendo altresì riflessioni sul tema della giustizia, al fine di valutare se questa assolve perfettamente alla sua funzione o se invece dimostra delle falle per cui, alla fine, vincono sempre i più forti ed potenti.