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Eros e Thanatos
I “cunti” di Andrea Camilleri, impreziositi da riferimenti letterari in un linguaggio che l'autore si diverte a plasmare magistralmente in siculo, fiorentino, romano, lombardo, possiedono la forza ipnotica delle favole che si raccontano ai bambini, ma non la stessa innocenza, carichi come sono di arguzia e sensualità.
In questo romanzo, in particolare, Eros e Thanatos si intrecciano in diverse occasioni, superando i confini della legge e della buona creanza.
La profonda, amara conoscenza dei fatti di Sicilia, di verità taciute o mezzo rivelate, di menzogne create ad arte dai “potenti” con la manovalanza di servi del potere, emerge per intero in questa piccola perla ispirata a fatti realmente accaduti nella seconda metà dell'Ottocento.
La potenza della parola, ancora più pregnante nella sua espressione dialettale, rasenta spesso la comicità, persino quando irrompe la tragedia a congelare l'amplesso di due amanti e la corsa un po' goffa di un ribelle dell'ultim'ora, o rimbomba un colpo sparato a bruciapelo, o una lama fredda penetra in un “gargarozzo”.
Emerge chiaro che fortezza inespugnabile, a dispetto del malcontento popolare, non è tanto la mafia quanto la mafiosità, sorretta da un sistema ad incastro in perfetto equilibrio tra criminalità e tutela della legge.
Guai a rompere questo equilibrio, pena la morte con disonore, perché se c'è una cosa peggiore di un servo prepotente è “un servu pripotenti di la liggi”.
Le ultime pagine, con due sentenze di morte eseguite a sorpresa tra aranceti carichi di frutti, ricordano proprio quella particolare qualità di arancia striata di rosso, vivace e vagamente inquietante.
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