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La Palermo di Lorenzo La Marca
In una Palermo avvolta dall'afa di uno scirocco africano, il biologo Lorenzo La Marca mentre si affaccia alla finestra del suo ufficio scorge un corpo senza vita legato con un cappio a un ramo di un fico dei giardini botanici. Non convinto che si tratti di suicidio, La Marca si rivolge ad un vecchio amico, il Commissario Vittorio Spotorno, per aiuto. Nel frattempo, il cadavere di un altro ex-collega viene ritrovato annegato in una fontana. Per una serie di eventi La Marca si ritrova coinvolto a risolvere da solo il mistero degli omicidi.
Un giallo direi. Si, diciamo che il filo conduttore del romanzo è proprio un giallo, c'è un delitto, c'è un investigatore, un poliziotto,amico dell'investigatore, una vittima, anche più di una, un movente e un assassino.
Ma per Santo Piazzese direi che è un po' riduttivo.
Il giallo è una scusa che lega il romanzo, ma nel mezzo e tra le righe c'è molto altro: c'è la vita dell'autore, i suoi studi classici, la sua carriera scientifica, la sua visione politica, le sue passioni, la musica che ama, i film che vede, le sue letture, e le sue riflessioni, spesso filosofiche.
Fa sfoggio di quello che sa Santo Piazzese, e sa tanto. Conosce diverse lingue, conosce bene la sua terra e la storia della sua terra. Descrive posti e luoghi nel dettaglio, usi e tradizioni, e la cucina siciliana. E' della scuola di Camilleri, ma ricorda Sciascia.
Il giallo è semplice, lineare, mai noir sempre soft e molto ironico.
Ecco, l'ironia è la sua arma vincente, altrimenti tutta questa cultura in bella mostra risulterebbe un po' pesante al lettore, e soprattutto a un lettore di gialli.
La sua scrittura è, direi, elegante e mai volgare, non c'è descritta, ad esempio, una singola scena di sesso, ma neanche l'amore nè la passione emerge da una singola frase o parola.
Il protagonista, Lorenzo La Marca, sembra un uomo che con l'amore ci ha fatto un po' a pugni, l'esatto contrario dello stereotipo del Dongiovanni siciliano.
E' un biologo, che lavora presso i laboratori del dipartimento dell'università di Botanica di Palermo. Ha un amico, Vittorio Spotorno, commissario di polizia e ha, forse, una donna, medico legale. Dico forse perchè questo rapporto non è mai chiaro nè ben definito.
Vive in un palazzetto antico di proprietà al centro di Palermo, e lavora quasi per hobby. Ha un senso innato di superiorità su quasi tutto il genere umano, che lo porta a comportarsi come se tutto fosse predestinato, e prende quello che viene, senza tanti entusiasmi nè patemi.
Ma non per questo è un uomo curioso, intuitivo e deduttivo che collabora spesso alla risoluzione delle indagini del delitto di turno, con un ritmo tutto suo, scandito spesso dai brani di musica, jazz e classica, che lo contraddistinguono.
Inutile dire che il romanzo è tanto pregno di riferimenti e citazioni letterarie e culturali quasi da non poterne più. Ma forse la mia è solo invidia. Il suo peccato veniale? la sopravvalutazione del lettore! tanto da non tradurre nemmeno le citazioni in latino!
Ma non disperate, sto leggendo il suo secondo romanzo, e, devo dire, che è molto meno pretenzioso e decisamente più giallo!