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Intrigo italiano
 
Intrigo italiano 2017-02-27 11:44:52 Alessio Barulli
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Alessio Barulli Opinione inserita da Alessio Barulli    27 Febbraio, 2017
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Una nuova identità per il commissario De Luca

Siamo a Bologna. L’anno è il 1953, quello della morte di Stalin, del maccartismo negli Usa e del governo di Giuseppe Pella. La guerra è finita e l’Italia ha da poco intrapreso il cammino della democrazia. In questo mondo profondamente trasformato la società italiana cerca di ricostruire la propria identità, dandosi magari un’aria più spensierata, in sintonia con un consumismo che il boom economico sta facendo scoprire. Ma dietro i sorrisi delle reclame sulle riviste patinate e tra le canzoni del festival di Sanremo si annidano i fantasmi di un’altra guerra, “fredda” sì, ma non meno spietata.
Anche il commissario De Luca sembra faticare nel ritrovare la propria identità. Tanto che si fa chiamare anche con un altro nome. Perché ora si è messo a fare la “barba finta”, la spia, in quel proliferare di servizi segreti deviati che segnò il miracolo economico italiano. Non ha capito bene neanche il nome dell’ufficio per il quale indaga sotto copertura, «ma quando gli proposero di collaborare con loro, in incognito, senza credenziali ufficiali e sotto copertura, per risolvere un caso di omicidio, De Luca disse Sì, e lo ripeté, Sì, con la testa e con la voce ».
Una donna della borghesia bolognese, fresca vedova di un brillante professore di fisica, viene trovata affogata nella vasca del pied-a-terre del suo defunto marito. Sullo sfondo la Bologna delle jazz band di universitari esistenzialisti figli di papà, ma anche quella delle orchestrine che suonano la filuzzi nei dopolavori ferroviari. E accanto a questo, un altro enigma consuma il protagonista: una giovane donna, un po’ italiana, un po’ abissina, che canta il jazz ma anche Bella ciao, che alcuni chiamano Franca, ma lei si presenta come Claudia.
Certo a De Luca qualche scrupolo viene, soprattutto quando scopre di che cosa siano capaci i suoi nuovi colleghi; ma nonostante tutto ha una certezza: «Faceva soltanto il suo mestiere. Un altro ufficio, altra gente, altri compiti, altre mansioni, lui no, lui faceva solo il suo mestiere. Neanche dovere, che comporta comunque un’adesione, il suo mestiere […] Sarebbe andato in giro per Bologna, anche di notte, a fiutare le strade come un cane da caccia».

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