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Un'estate di fuoco, Ricciardi..
Anni ’30. Napoli è nel pieno della sua calda e torrida estate, un’estate caratterizzata da ben quaranta gradi e la totale assenza di qualsivoglia attimo di respiro. Il commissario Luigi Alfredo Ricciardi e il Brigadiere Maione, per ragioni diverse, sono in questura di turno domenicale quando vengono chiamati ad investigare su una misteriosa morte avvenuta nella notte; serata all’interno della quale si stava, tra l’altro, celebrando la ricorrenza della Santa Maria Regina, una tipica celebrazione del luogo. Il cadavere rinvenuto ed appartenente niente meno che alla duchessa Adriana Musso, seconda moglie dell’ormai moribondo Duca, presenta un foro di arma da fuoco nell’area frontale della nuca nonché molteplici contusioni e abrasioni su varie parti del corpo. Ricciardi e Maione danno subito inizio all’investigazione che, passo dopo passo, consente, da un lato, di ricostruire la vita di una donna caratterizzata da molteplici relazioni extraconiugali – non celate, ma pubbliche – e, al contempo, induce i due funzionari ad intraprendere una strada molto pericolosa che li porterà ad incontrare ambienti inevitabilmente correlati al Fascismo, epoca all’interno della quale il romanzo è ambientato.
Attraverso una ricostruzione precisa, meticolosa, caratterizzata dall’alternanza di voci e io narranti, Maurizio De Giovanni crea con maestria un giallo accattivante, contenutivamente solido e ricco di colpi di scena. Sino all’ultima battuta, infatti, non si ha la certezza di chi sia – o di chi siano – l’omicida, così come sino a conclusione dell’opera non se ne comprendono realmente le ragioni. All’interno dello scritto però, trova spazio anche il sentimento, la riflessione. Il solitario Ricciardi, che da sempre a causa del suo dono (o della sua sventura), tende a rifiutare le attenzioni femminili, è preda di un’emozione nuova: l’amore.
Non solo, l’elaborato ruota intorno anche ad un quesito; quello relativo al proprio posto nel mondo. Qual è, sembra sussurrarci De Giovanni/Ricciardi, il posto di ognuno? Qual è il nostro ruolo negli eventi, e soprattutto perché la condizione umana è così incline a confinare l’individuo in una posizione che sembra invalicabile, prostrante, irrimediabile?
Con una penna fluente e peculiare, l’autore ci offre un testo tutto da scoprire che naturalmente invoglia il lettore a scoprire delle altre avventure. Che dire dunque se non, a presto mio caro Ricciardi?
«Non si può mai dire. La gente, vedi, è strana: le passioni trovano energia nei momenti più inaspettati. Il caldo fa impazzire, fa diventare insofferenti; cose che sopporteresti d’inverno o in primavera, ti irritano d’estate. Credimi, i fatti più assurdi succedono in questa stagione» p. 19
«Un uomo muore nel momento stesso in cui non significa più niente per nessuno. [..] L’odio è un pensiero, commissario. Un’istanza, forse un desiderio. Chi è impegnato a morire ora dopo ora, chi non si muove da un letto e dipende dalla carità di chi viene ad assisterlo, non si può permettere l’odio. E’ un lusso anche quello» pp. 98-100
«Ma con l’amore non si combatte, commissario. Perché se si combatte si perde. Inevitabilmente. E allora bisogna prendere un’iniziativa, e bisogna coglierlo l’amore, come uno di questi fiori. Quando si ama, si ama anche il mondo, si vorrebbe cantare, urlare, ridere senza ragione, alla luce del sole» p. 286