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I buoni, i cattivi...e l'antilingua.
Estate 1992.
Bari.
Un'estate che sembra non voler arrivare mai..."fredda" non solo meteorologicamente, ma anche metaforicamente.
È l'estate delle stragi di Capaci e di Via D'Amelio, l'estate della mafia padrona.
Carofiglio, con il suo solito stile affascinante, sobrio, garbato, sempre in perfetto equilibrio tra forma e sostanza, tra linguaggio tecnico e "di strada", ci porta dentro una storia e ci fa toccare con mano lo sporco mondo della criminalità organizzata, con le sue strutture gerarchiche, i suoi giuramenti, qualifiche, avanzamenti di "carriera", i suoi codici e la sua giustizia interna tanto feroce quanto sommaria.
Stavolta l'autore abbandona la giurisprudenza e le aule di tribunale e ci apre le porte di una caserma dei carabinieri di Bari, dove troviamo il maresciallo Pietro Fenoglio (già protagonista di "Una mutevole verità"), uomo di grandi principi e dignità, di intelligenza vivace e profonde riflessioni filosofiche.
Un uomo ferito nella sfera sentimentale e sempre alla ricerca della "giusta misura".
E proprio il caso che si troverà a dover affrontare, ovvero il sequestro lampo del figlio di un boss locale, lo porterà a dover aprire una finestra sul labile confine tra "buoni" e "cattivi", tra "noi" e "loro", dove diventa estremamente difficile separare il bianco dal nero ed evitare d'immergersi fino al collo in quella sterminata varietà di grigi, accettando tristemente i limiti della divisa che indossa.
I criminali sono sempre tutti "brutti, sporchi e cattivi"?
Ed i buoni...sono veramente tutti "buoni"?
Fenoglio, tra una visita in Pinacoteca, la sua musica classica e un tuffo in un mare cristallino di una spiaggia ancora dormiente della costiera barese, farà i conti con un'estate di sangue e dolore.
Indubbiamente l'essere stato magistrato e sostituto procuratore nell'antimafia, rende Carofiglio particolarmente abile nel raccontare questo tipo di storie (sa di cosa parla) ed è anche molto attento a non indugiare troppo sull'aspetto truce e violento del mondo che racconta (pur presentandoci le cose così come sono), stemperandolo attraverso ciò che lui conosce ed usa molto bene..."la parola".
Carofiglio in questo romanzo fa sfoggio di differenti registri linguistici: alterna al linguaggio fluido della narrazione e dei dialoghi, interi verbali di interrogatori, scritti in quella che Calvino chiama "l'antilingua", ovvero una lingua rigorosa, lontana dai significati concreti della vita, per mantenere le distanze dal mondo reale e dalle sue brutture.
Per sopravvivere.
Ma riesce anche a mescolare molto bene realtà e finzione, invenzione e cronaca, senza che l'una prevarichi sull'altra...rendendo omaggio a Falcone e Borsellino.
Un romanzo che non mira tanto a scatenare forti "emozioni", quanto invece a generare "riflessioni"...e a costringerci, di fronte a ciò che riteniamo inaccettabile, a non girare la testa dall'altra parte.
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Commenti
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Beh, se non sbaglio, l'ultimo con Guerrieri, "La regola dell'equilibrio", risale ad un paio d'anni fa...
Comunque Fenoglio è un personaggio altrettanto amabile.
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Anche a me piace Carofiglio, mi dispiace solamente che negli ultimi anni abbia un po' messo da parte le vicende dell'Avv. Guerrieri per dedicarsi ad altri progetti di scrittura.