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Diventato un vagabondo per il dolore che provava
Quando incontro un “senzatetto”, spesso mi chiedo cosa l’abbia spinto alla sua scelta di vita.
Una delusione o un dolore?
La miseria?
Un’esigenza parossistica di libertà?
Una protesta contro la società?
O forse una combinazione di fattori…
In “Fiori per un vagabondo” di Gianni Simoni i clochard sono due.
Un uomo alcolizzato, che la ricostruzione dell’ex magistrato Carlo Petri identifica in un architetto bresciano.
Una donna di nome Paola, che ha stretto amicizia con l’ex architetto, senza conoscerne il passato.
Per questo, quando l’uomo viene giustiziato con un colpo di pistola, Paola depone quotidianamente un mazzo di fiori di campo sul luogo del delitto.
Per entrambi la scelta è riconducibile a un dolore antico e, per certi versi, simile (“L’architetto è diventato un vagabondo per il dolore che provava… non per far perdere le sue tracce”).
Giudizio finale: lineare, compassionevole, un giallo estivo con soluzione.
Bruno Elpis
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Commenti
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@ Laura: ahahah intendi dire che è difficile zittirmi? :-)
Ciaooo
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Mi sono fatta l'idea di metterlo da una parte.
Grazie per l'aiuto.