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Claustrofobico? No, troppo facile.
Blackout – Gianluca Morozzi, 2004.
Dire “claustrofobico” è decisamente troppo facile, dal momento che si tratta di un thriller quasi interamente ambientato in un ascensore. Molto molto “meno” della classica “camera chiusa”.
Tre personaggi principali, alcuni comprimari, piccoli interludi per cercare di riprendere fiato (giusto per piombare in un orrore in differita) e la triade di protagoniste assolute: Bologna, Afa e Domenica di Ferragosto.
Una buona idea di fondo regge la storia del mio (quasi) coetaneo Gianluca Morozzi – che ovviamente non spoilero – e permette una lettura rapida ed appassionante (anche se – maledizione! – il triplice dettaglio del transit, a me un po’ m’aveva messo sull’avviso, ma fa niente, temo che sia l’eccessiva frequentazione con loschi figuri tipo S. Moffat).
Qualche piccola perplessità sulla caratterizzazione di alcuni personaggi (Ferro, secondo me, è molto “abbozzato” e Wilmo e Walter li ho trovati un po’ “appesi lì” funzionali, ma non troppo funzionati, nella storia), mentre mi è piaciuto Tomas e una grossa sorpresa e piacevole inquietudine intorno alla figura di Claudia.
E poi dominante, aleggiante, stagnante su tutto, il terribile caldo di Bologna a Ferragosto, che si insinua ovunque, soffoca e rallenta i protagonisti – prima – per poi portarne fuori gli istinti peggiori (ma anche salvarli).
Quindi, una prova buona ed intelligente, forse da “raffinare”un pochino; dal mio punto di vista – perdonatemi – una vera boccata d’aria in un certo tipo di italica letteratura ove imperversano eterni detective/magistrati, che figheggiano, spignattano, si dannano e soprattutto si tormentano (ma lavorare ad un caso degno di questo nome? No, vero?).
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