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Rocco Schiavone, il vicequestore
La storia noir raccontata da Antonio Manzini è frequentata da tanti personaggi e da innumerevoli intrecci, da Aosta a Roma, due città a cui la mia vita è legata e che mi ispirano nella scelta della lettura.
Vicende umane racchiuse in gabbie psicologiche e storiche. Tutti i personaggi sono prigionieri delle incomprensioni, dei risentimenti incomunicabili, delle nostalgie segrete.
Mi imbatto nel vicequestore Rocco Schiavone, nelle sue abitudini, nei suoi vizi: “doccia, colazione da Ettore a piazza Chanoux, questura, canna mattutina. Alla fine, e soltanto alla fine, visita alla morgue.”p.94
Interessante e dominante la figura di quest’uomo in guerra con sé, con gli altri, con la morte, primordiale e contemporaneo, rozzo e benevolo, scaltro e ingenuo, opportunista e simpatico. Un uomo di potere che si salva dalla miserabilità, coltivando il dolore e assistendo con sguardo vigile l’evoluzione della propria storia.
Vivacissime le sequenze: l’omicidio, le feste, il passato, i sogni. Se il frutto della pace è appeso all’albero del silenzio, in questa storia è il contrario, infatti, assisto ad una sequenza di conflitti, di scambi continui di comunicazioni, talvolta oscure. All’inizio, mi perdo nello scenario complesso di voci ma, presto, i miei cinque sensi collaborano nel riconoscere volti e dialoghi, sintomi e narrazioni.
Antonio Manzini soddisfa decisamente la mia bulimia da libro, capace come pochi di tipizzare i personaggi, di accompagnarli con decisione nei percorsi tortuosi delle loro esistenze. Il romanzo è pronto a diventare un film, con le scene che si susseguono determinate, mai monotone, in spazi e tempi giusti, alternando ombre e luci, etica e malavita, coscienza di sé e abbandono, attrazione e repulsione.