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Il grande dolore del Commissario Ricciardi
Napoli, luglio 1932, a pochi giorni dalla festa della Madonna del Carmine, il chiarissimo professor Tullio Iovine del Castello, titolare della cattedra di Ginecologia presso l’Università di Napoli e Direttore della clinica omonima al Policlinico è trovato morto, precipitato dalla finestra del suo studio in ospedale. Sono sufficienti poche ore per scoprire che l’uomo non si è buttato volontariamente di sotto, ma, preso per la collottola e la cinta dei calzoni, è stato scaraventato da basso. Ed è sufficiente poco più tempo per fare una lunga lista di persone che potevano desiderarlo morto. L’uomo, infatti, aveva usato tecniche assai poco pulite per far carriera, giocando cinicamente con le vite degli altri. Aveva, poi, sulle spalle errori professionali ai danni di individui che gli errori non accettano neppure che possano esistere e, inoltre, conduceva una doppia vita divisa tra famiglia e giovane amante.
Le indagini affidate al Commissario Ricciardi e al fido brigadiere Maione si rivelano, però, complicate e ostiche. Infatti i due uomini sono distratti da gravi, dolorosi problemi personali che li costringono a non concentrare le loro attenzioni sul caso. Il commissario si vede gravato da nuove dolorose preoccupazioni. Oltre a dover fronteggiare il continuo assillo delle immagini dei defunti che gli comunicano il loro ultimo pensiero, Ricciardi ora è pure in ansia per la salute di Rosa, l’adorata tata, colpita da un grave colpo apoplettico, e per l’improvvisa scomparsa da Napoli di Enrica, la donna di cui è segretamente innamorato e che ora, a sua insaputa, s’è trasferita ad Ischia. Maione, invece, ha una improvvisa crisi di gelosia nei confronti della moglie che misteriosamente i pomeriggi frequenta il palazzo abitato da un noto gagà.
Alla fine i due scopriranno che il movente del delitto è da cercarsi, come sempre, nei due soli motivi che conosca il Commissario: amore e fame. In questo caso un antico ed imperituro amore che affonda le radici in un lontano passato si è intrecciato con la fame (di gloria, potere e denaro) del professore, uomo tutt'altro che integerrimo.
Questo settimo romanzo della serie del Commissario Ricciardi, l’uomo che vede i morti, è l’ennesimo esempio dell’ottima narrativa di De Giovanni. Con uno stile impeccabile l’autore alterna pagine di pura poesia in prosa a splendide descrizioni ed acute analisi dei sentimenti dei personaggi che si agitano nella storia.
Forse l’aspetto più fragile è proprio la trama poliziesca il cui intreccio e, soprattutto, la conclusione sono abbastanza scontati e “telefonati”, cosicché, la scoperta dell’assassino e del movente sono una sorpresa solo per Ricciardi e Maione.
Detto ciò debbo confessare, però, che, nonostante “In fondo al tuo cuore” sia un opera pregevole, la piacevolezza della sua lettura mi è risultata offuscata dal tono generale della storia.
Forse ero influenzato dal fatto che ho affrontato questo volume dopo aver terminato un libro che mi aveva rattristato per altri motivi, tuttavia mi sono ritrovato immerso in una storia cupa e triste sino alla depressione. Cosicché ho quasi tirato un sospiro di sollievo nel momento in cui sono giunto al termine, anche se questo è in piena linea con il tono rattristante dell’intero libro. Neppure i battibecchi tra Maione e Bambinella, il femminello informatore del brigadiere, neppure le ciniche battute brucianti del dott. Modo riescono a sollevare il tono plumbeo della storia che lascia il lettore scorato e demoralizzato.
Io attendo sempre nel comprare i libri del Commissario Ricciardi che sia uscita l’edizione tascabile nella quale De Giovanni inserisce sempre una interessante “intervista impossibile” con qualcuno dei suoi personaggi. Neanche a farlo apposta in questo volume l’intervista è con la povera Rosa in fin di vita. Si pone così l’ultimo cupo mattone al muro di desolazione costruito nel romanzo. Insomma in conclusione una tristezza infinita.
A prescindere da ciò De Giovanni si conferma come uno dei migliori letterati italiani contemporanei.