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Povero Arcieri!
È invecchiato il colonnello Arcieri, anzi ex colonnello, giacchè è andato in pensione, ma la sua vita è ben altro che tranquilla, in quanto c’è chi trama, proprio nei servizi segreti di cui a lungo ha fatto parte, per toglierlo di mezzo.
Un tentativo di ammazzarlo, sabotando lo sterzo della sua Alfa,. è quasi andato a buon fine, ma, nonostante il volo in un burrone e le numerose fratture, lui ne è venuto fuori, fuggendo in Francia, braccato dai sicari. È un uomo che sente il peso dell’età, che ha paura e che, nonostante l’esperienza, commette numerosi sbagli, di cui per mera fortuna non paga le conseguenze. Ritorna in Italia, stanco di scappare, per affrontare il suo anonimo nemico e, manco a dirlo, ci riesce, ma perdendo alcuni dei suoi collaboratori più fidati, uccisi per fargli intorno terra bruciata.
Il ritorno del colonnello Arcieri è una storia di Servizi deviati, di moti studenteschi (quelli del ’68), del cambiamento dello spirito di un uomo che vuole ancora cogliere il succo della vita, ma è anche un gran pastrocchio, con incongruenze, stereotipi di sessantottini, una attesa e definitiva soluzione che sta poco in piedi, un romanzo di tanti personaggi, fra i quali l’ex fidanzata Elena Contini, che appare come per miracolo all’improvviso e che pare la persona giusta per toglierlo dai guai (viene il sospetto che faccia parte del Mossad) e che poi celermente svanisce, un’autentica meteora. Pur fra alti e bassi di ritmo (il romanzo alterna appunto fasi di stanca ad altre di notevole dinamismo, quest’ultimo crescente mano a mano ci si avvicina alla fine) si lascia leggere. Nel complesso si arriva in fondo più che altro per scoprire chi sia il capo delle trame oscure e come riuscirà Arcieri a venirne fuori; però non è una lettura particolarmente gradevole, ma nemmeno sonnacchiosa, nonostante l’autore abbia cercato di addormentare il lettore con una prima parte, che si svolge a Parigi, di un centinaio di pagine, quando la metà sarebbe stata più che sufficiente, e infarcendo la narrazione di divagazioni sull’abilità culinaria di Arcieri, con descrizioni particolareggiate di ricette che non fanno altro che annoiare. In tutto sono 354 pagine e secondo me ce ne sono almeno un centinaio di troppo, ma avrei chiuso un occhio se non fossi incappato in un finale buonista, del tipo “e tutti vissero felici e contenti”. Una conclusione così non è stata la classica ciliegina sulla torta, ma un cocomero messo su un pastone mal manipolato, e questo proprio non mi è andato giù. Purtroppo sono passati, sia per l’autore che per Arcieri, i tempi in cui il colonnello era ancora capitano e nel clima del ventennio, pur muovendosi fra spie, risolveva i casi più complessi con ferrea logica, come in Il passaggio e in Nero di Maggio. In verità mi era piaciuto anche in L’angelo del fango, ambientato durante l’alluvione di Firenze, ma temo che sia stato il canto del cigno, perché, se Arcieri in pensione è un uomo con poca lucidità, tanto che vien da dire che era proprio il caso che si mettesse a riposo, anche l’autore pare un pensionato dalle idee poco chiare, visto che è riuscito, pur a fronte di uno spunto originale, a scrivere un’opera che non vale di più di un libro che, al massimo, consente di ingannare il tempo per alcune ore. Dopo non resta proprio niente, se non l’osservazione, che mi è venuta spontanea e che si traduce in poche parole: Povero Arcieri, come eri bravo quando investigavi nel ventennio. Anche per te il tempo è passato ed è venuta l’ora che tu faccia una vita esclusivamente da pensionato.
Insomma, il tempo trascorre per tutti, anche per Bruno Arcieri.