Dettagli Recensione
A mai più rivederci
Romanzo quanto mai filosofico e Antonio Moresco non ce lo fa proprio dimenticare, tanto da diventare noiosamente ridondante nelle domande esistenziali che fa porre al protagonista.
Una pagina sì e l’altra pure, D’Arco (l’agente morto protagonista) si chiede in continuazione se ci sia prima la vita e poi la morte o viceversa. Da dove arrivi il male e se ha origine prima o dopo la vita o la morte. E così via, insomma.
Concentrandosi in maniera particolare su queste domande senza risposta, l’autore tralascia troppo la caratterizzazione dei personaggi. D’Arco (che non ha un nome …) ha gli occhi completamente bianchi ed è pieno di cicatrici che ha collezionato in vita durante le sue missioni di agente di polizia. Fine. È tutto quello che sappiamo. Anzi no. Sappiamo anche che quando era vivo era innamorato di una donna, incontrata casualmente dentro un cassonetto dell’immondizia (e non ci viene spiegato come mai si trovasse lì …) e che a sua volta non aveva un nome. E non è che non lo avesse perché sbadatamente non ci viene mai riferito, perché non lo conosce neanche D’Arco, tanto da chiamare la donna “Quella”.
Fatta questa premessa, il romanzo parla in maniera non troppo chiara di questo agente di polizia morto che viene incaricato da uno sconosciuto di capire perché mai i bambini morti cantino in coro tutte le notti.
A parte il fatto che non ci viene spiegato come mai un coro di bambini sia un evento tanto eccezionale nel mondo dei morti, D’Arco capisce che per risolvere il mistero deve tornare nel mondo dei vivi accompagnato da uno dei suddetti bambini, in particolare dall’unico che non canta perché muto.
La cosa si fa interessante – penso – ma poi, quando viene il momento cruciale del passaggio da un mondo all’altro, l’autore bypassa il problema dicendo “È così semplice che non si sa come dire” … così non vale! Che fai? Come Dante che sveniva per passare da un girone all’altro!? Lui però era Dante! Poteva permetterselo!
Comunque, D’Arco arriva magicamente nel mondo dei vivi, dove nessuno si pone il problema che per strada passeggi un uomo senza pupilla né iride (cosa che, a quanto risulta da certi racconti del passato del protagonista, non è una caratteristica dell’essere morto … ma anche qui non viene detto nulla di più), e insieme al bambino muto che comunica sfregiando muri e marciapiedi con pietre e vetri (dargli un taccuino no, eh!), inizia a fare piazza pulita di violentatori e assassini di bambini. Eh già, perché i bambini del mondo dei morti cantano per accogliere la marea di bambini che vengono uccisi ogni notte nel mondo dei vivi. Chi li uccide? Perché? Che domande difficili … “Ammazziamo i bambini per non farli diventare grandi e non fargli uccidere altri bambini” … ma mi prendi in giro!?
Insomma, questo libro non ha ne capo ne coda, forse volutamente perché in parallelo al discorso che non si sa se c’è prima la vita o la morte, ma personalmente sbuffavo ad ogni pagina che giravo, stufa soprattutto dei continui e sempre uguali pensieri del protagonista.
Altra cosa che non ho apprezzato è stato un’intera pagina con l’elenco delle descrizioni e delle battute classiche di libri polizieschi che l’autore non avrebbe usato nel suo romanzo … c’era davvero bisogno di farlo!? Mah …
Per quanto riguarda lo stile, l’ho trovato a tratti telegrafico ed eccessivamente descrittivo (ad esempio: “Ho attraversato il piano del garage. Ho varcato la porticina. Ho seguito per un po’ il corridoio. Sono arrivato davanti alla mia porta. L’ho aperta. Sono entrato. Ho richiuso la porta alle mie spalle.” Poco scorrevole, insomma …).
Non so che dirvi, forse non ho capito io il senso di questo libro (anzi, sono sicura che sia così, notando le altre recensioni), ma se dovete leggerlo per passare qualche ora di rilassamento, lasciate perdere.
Non avevo mai letto nulla di Moresco, credo che il problema sia che non è il mio genere, che è troppo pensieroso e filosofico e così facendo tralascia cose che invece io apprezzo di più in una lettura.
Chiedo perdono per gli amanti di questi libri, ma il mondo è bello perché è vario, no! L’importante è provare altri generi. Ora so che non fa per me.
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