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Imbarazzante dejà-vu
Da accanita lettrice di thriller stranieri ho voluto leggere quest’opera tutta italiana, spinta dalle recensioni positive lasciate dai miei compatrioti. Siccome sulla trama si è già scritto tanto (pure troppo) preferisco parlarvi direttamente delle mie impressioni.
L’autore pensa che per guadagnarsi l’attenzione e l’interesse dei lettori basti mettere in scena l’efferatezza all'estremo livello sulle vittime più innocenti (le bambine). Tutto qui.
Nella sua narrazione manierosa e costellata di cadute di stile, dalla punteggiatura ostile e a tratti francamente insensata, l’autore ci conduce attraverso una storia che procede a tentoni, come se davvero avesse lui stesso un suggeritore, anzi, un coro di suggeritori che gli dicono a turno cosa tirare fuori dal cilindro perché il lettore arrivi fino alla fine.
Posto che l’idea era trita e ritrita, un pochino di onestà poteva almeno evitarci il vecchio clichè della investigatrice-ex-vittima, il cui profilo psicologico inizia e termina con la dichiarata incapacità di empatizzare, reliquato delle violenze a suo tempo subite.
Il tutto in un imbarazzante dejà-vu andato mille volte in onda nella peggiore tradizione letteraria di genere nonché nelle onnipresenti e onnivore serie televisive sul tema.
L’autore alterna trovate investigative puerili (bastava vedersi qualche puntata di CSI prima di iniziare a scrivere) a doviziose descrizioni sulle tecniche di interrogatorio, in uno stile da tema in classe al liceo che cancella ogni clemenza residua nel lettore più benevolo.
La narrazione è noiosa, gli spunti narrativi scontati, il ritmo biascicato ed il finale previsto e banale. Onestamente ne sconsiglio la lettura e non comprendo davvero le recensioni positive. Mi dispiace soprattutto non potermi, ancora una volta, ricredere sul pregiudizio che pesa sui thriller italiani.
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