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SI PUO' FARE DI PIU'
Un titolo accattivante, l’eco di un grande thriller e il fatto che l’autore sia italiano e che sembrerebbe essere il futuro prossimo del nostro Paese nel genere, sono elementi più che sufficienti per attirare l’attenzione del lettore e far sì che l’acquisto venga fatto. Peccato che grandi aspettative non vengano poi sempre soddisfatte nello svolgimento dei fatti. Il primo libro di Mirko Zilahy ha avuto quello che io chiamo, per rendere l’idea, “l’effetto Gioconda”. Avete mai visto il più famoso quadro di Leonardo Da Vinci dal vivo? Nell’immaginario collettivo, anche nel mio, il quadro più conosciuto al mondo chissà perché ma ce lo aspettiamo di certe dimensioni diciamo, delle dimensioni dei quadri che si trovano anche nei salotti di casa nostra probabilmente e quando finalmente, girando tra le sale del Louvre, ti ci trovi davanti col cuore pieno di emozioni, accade qualcosa di strano, inclini il capo, gli occhi si fanno a fessura per focalizzare meglio e un pensiero fulmineo ti attraversa la mente “Tutto qui?”, sì perché il ritratto della Gioconda è in realtà un quadro di piccole dimensioni, e anche se questo non toglie nulla alla bellezza dell’opera, che rimane immortale, un pizzico di delusione ti pervade perché in realtà ti aspettavi qualcosa di più. Ecco questo libro produce esattamente lo stesso effetto, ampliato dal fatto che non è solo una mera questione di dimensioni quello che lascia perplesso il lettore, che si rende ben presto conto che si trova dinnanzi ad un buon libro sì, ma non sicuramente ad un capolavoro del genere come si vuol far credere.
Zilahy utilizza indubbiamente una buona tecnica narrativa per far sì che il lettore venga attratto nella lettura, ha un’alta capacità descrittiva e il raccontare una storia inserendo all’interno fotogrammi flash di situazioni che sembrano slegate dal processo per ordine degli avvenimenti, innescano in chi legge la curiosità nel proseguire per cercare di mettere al loro posto quei pezzi di puzzle impazziti. Eppure nell’andare andare avanti si sente che c’è qualcosa che stona, manca qualcosa in questo romanzo.
Siamo nella Roma industriale, battuta da un’incessante pioggia (Ma a Roma piove davvero così tanto per venti giorni di fila?), dove un serial killer che sembra giungere da oltre oceano miete vittime tra blocchi di cemento e ferraglie arrugginite. L’ispettore Mancini, profondamente segnato nell’animo e scosso da innumerevoli psicosi e paranoie, è costretto a seguire l’indagine assieme alla sua squadra per risolvere la spietata mattanza. La prima cosa che stona è appunto il fatto che, come l’esistenza dell’ispettore segue il principio della balistica discendente, così lo fa anche tutto il romanzo, attirato verso il basso da una forza di gravità che getta un’ombra d’ansia su tutta la vicenda. Il trovarsi costantemente in una Roma acquitrinosa e metallica fa sì che le descrizioni nel corso del libro risultino ripetitive e incolore, se il caratterizzare psicologicamente il protagonista conferisce un aspetto più umano e veritiero al personaggio, è pur vero che il riproporre costantemente le inquietudini dell’ispettore risulta alla fine essere una forzatura, il voler mischiare il genere thriller americano col giallo italiano produce poi l’effetto che tutta la storia in sé sia un po’ inverosimile. Quando si arriva alla fine ecco che, dopo tante pagine di pioggia, risulta chiaro cosa manca a questo primo romanzo dell’autore. Nonostante lo stile scorrevole e asciutto che non fa indugiare nel proseguire la lettura, la storia manca di dinamicità. Nessun sussulto, nessun cambio di prospettiva, nulla che faccia dubitare che le cose vadano come poi realmente vanno, e comunque alcuni punti continuano ad essere lacunosi, senza spiegazione anche ad epilogo avvenuto. A Zhilay per ora è mancato quel guizzo che fa dire a chi legge, “Bravo, questa mossa non me l’aspettavo”
Nel complesso il libro è comunque una piacevole lettura, scritto in maniera fluida e senza troppi fronzoli, seppur senza particolari emozioni svolge egregiamente il suo compito di intrattenitore. Il consiglio è quello di leggerlo senza troppe pretese, per ora siamo lontani da un’emergente Carrisi. Zilahy è promosso ma con riserva, le premesse perché possa scrivere qualcosa di meglio ci sono tutte, allora diamo fiducia a questo novello autore e aspettiamo di leggere il suo prossimo romanzo.
Buona lettura
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