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Ragazzoni, Puccini e gli anarchici
Anno 1901, a Pisa sta per andare in scena la Tosca di Puccini alla presenza di Sua Maestà Vittorio Emanuele III, da pochi mesi Re d’Italia. Il clima non è dei migliori, visto che la successione è stata accelerata dal regicidio commesso ai danni di Umberto I, da Gaetano Bresci, recentemente suicidatosi (o “suicidato”?) nel carcere dell’Elba. La situazione è ancor più critica se si tien conto che il tenore chiamato ad impersonare Cavaradossi è Ruggiero Balestrieri, noto anarchico, come anarchici sono i cavatori di marmo carraresi suoi amici, che saranno tutti presenti in sala. Inoltre anche il giornalista-poeta-etilista Ernesto Ragazzoni, inviato dal giornale La Stampa a relazionare sull'evento, è un notorio anarchico ed iconoclasta. I rischi, per l’ordine pubblico che le Guardie Reali di S.M. (i futuri “Corazzieri”) debbono assicurare, sono enormi.
Puntualmente l’omicidio viene perpetrato e proprio durante la scena conclusiva del melodramma. A dover sbrogliare la matassa, intricata ulteriormente dalla situazione politica e da un certo pressappochismo nelle indagini e nell'adozione delle misure di sicurezza, è chiamato il tenente della Guardia Reale, Gianfilippo Pellerey che deve combattere un po’ con tutti i soggetti coinvolti, ivi compreso il suo capitano, che pare voglia indagare lo stesso Puccini, per le sue tendenze non particolarmente affini alla Casa Reale.
È la seconda volta che Malvaldi si cimenta con un giallo di ambientazione storica, frammischiando personaggi reali con quelli inventati dalla sua fantasia: ne è uscito un piccolo capolavoro di arguzia e ironia. Non sono rare le pagine in cui il lettore non può fare a meno di sganasciarsi dalle risate, ed altre in cui deve ammirare la vivacità e l’acutezza dei dialoghi.
La ricostruzione ambientale dei primi anni del ‘900 è curata ed attenta. Godibilissime le schermaglie tra i personaggi che, in questa occasione, duellano a colpi di fioretto più che di mazzate, come avviene, spesso, nella saga dei vecchietti del Bar Lume. Forse l’aspetto meno curato è proprio la trama gialla che potrebbe essere risolta in poche righe se gli inquirenti avessero seguito procedure un po’ più consone (e non parlo di quelle odierne dei RIS!). Il “mistero”, invece, si trascina per oltre 170 pagine, ma per far solo da fondale davanti al quale sono recitate le commedie individuali dei singoli personaggi. Quindi, di per sé, non è affatto un difetto.
Proprio perché il romanzo è un gioiellino quasi perfetto (forse uno dei migliori di Malvaldi) vien più voglia di ricercare i piccoli nei che punteggiamo la trama, che osannarne i tanti pregi. Un po’ come quando, malignamente, gioiamo per uno scivolone dei “primi della classe”. Quindi, permettetemi di osservare innanzi tutto che, forse, Malvaldi indugia un po’ troppo sull'aneddotica del melodramma. Gli episodi sono sicuramente gustosi, ben narrati e, soprattutto veri, ma, per lo più, son anche parecchio risaputi, almeno per chi abbia una infarinatura dell’argomento. Quindi, dopo un po’ appaiono ridondanti. Sembrano inseriti, più che altro, per accattivare i consensi di chi la lirica l'ha sempre tenuta alla distanza credendola, erroneamente, solo una cosa noiosa per vecchi parrucconi. Ma non sono funzionali al racconto anzi, talvolta, distolgono l’attenzione. Poi, l’autore calca un po’ sugli interventi comici dei quattro cavatori carraresi (controfigure dei quattro vecchietti di Pineta?) e dello stesso Ragazzoni, quasi per strappare un applauso a scena aperta in una rappresentazione, comunque, già ottima. Infine segnalo un errorino (a matita rossa?): più volte ci si riferisce al re Vittorio Emanuele III con il titolo di “Sua Altezza Reale” e non di “Sua Maestà”. Ora S.A.R. era il titolo che spettava ai figli del re, ai figli del principe ereditario e alla consorte di questo, non certo al sovrano in carica al quale era dovuto, sempre e comunque, il titolo di Sua Maestà.
Ovviamente nulla di tutto ciò inficia il valore complessivo del libro e Malvaldi, su cui si può sempre contare, colpisce anche questa volta nel segno con un libro piacevolissimo.
Una annotazione conclusiva. È risaputo che lo stile e la correttezza formale di Malvaldi sono impeccabili. Mi ha divertito moltissimo il fatto che stavolta si sia voluto concedere un errore grammaticale, come garbato sberleffo al lettore, inserendo volutamente un anacoluto. Lo svarione viene sottolineato dallo stesso autore nella frase successiva, a favore dei più distratti a cui fosse sfuggito perché troppo presi dagli avvenimenti narrati, e giustificato col fatto che: “succede, con una pistola puntata addosso”. Impagabile!
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Dopo aver letto il libro mi sono andato a cercare le poesie di Ragazzoni: era davvero fuori di testa! Ma era anche lui diverentissimo.
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