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Un polpettone indigesto
Ritengo opportuna una premessa affinché sia possibile meglio comprendere le mie motivazioni in ordine al giudizio dell’opera: ho avuto modo di leggere i romanzi con protagonista il commissario Ricciardi allorché questi erano editi da Fandango; mi sono piaciuti molto, anche se più di una volta ho espresso all’autore i miei dubbi sulla prosecuzione di una serie caratterizzata sì da personaggi accattivanti, ma con una trama gialla esile e poco interessante. Ho pure consigliato a De Giovanni una diversificazione della sua produzione, scrivendo per esempio dei noir o dei thriller, un po’ come a suo tempo ha fatto Georges Simenon. Si vede però che l’autore napoletano non ha né il talento, né la creatività del romanziere belga, poiché ha preferito inaugurare un’altra serie ambientata ai tempi nostri in un commissariato di polizia napoletano, di cui ho letto il primo (I bastardi di Pizzofalcone) che ho gradito talmente da non essere interessato ai successivi. Tuttavia, la mia simpatia per il commissario Ricciardi, per il brigadiere Maione, per il dottor Modo ha fatto sì che decidessi di sborsare 19 euro per questo Anime di vetro, nella speranza di una lettura gratificante. Dico subito che mi sono sbagliato e che mi sono trovato per le mani un polpettone, indigesto per tanto motivi. La considerevole lunghezza nuoce all’opera, tanto più che una parte non trascurabile è dovuta a una reiterata descrizione dei protagonisti, che in una serie, oltre che superflua, è del tutto inutile. Se poi prendiamo l’abitudine dell’autore di inserire un prologo, degli intermezzi e un epilogo, magari con l’intento di meglio spiegare, in un desiderio di parlare delle passioni umane anche con un approccio filosofico, peraltro di modesta levatura, si può benissimo comprendere come il lettore, più che interessato, finisca con l’essere frastornato, tanto più che, come sempre, la trama gialla è esilissima, con una soluzione finale questa volta altamente improbabile, a cui si accompagna anche una novità costituita dall’interessamento dell’OVRA (la polizia segreta fascista) per Ricciardi. Se questo doveva essere nelle intenzioni dell’autore la ciliegina sulla torta, messo lì, senza nemmeno qualche accenno precedente, sembra del tutto fuori posto e inoltre De Giovanni commette l’errore di far apparire gli agenti segreti come degli incapaci, e invece purtroppo non era così, perché invece erano notoriamente molto validi. A onor del vero il romanziere napoletano si deve essere accorto che era opportuno inserire dei nuovi personaggi dopo la morte della tata Rosa, e così sì è inventato uno spasimante di Enrica, un maggiore tedesco di fede nazista che tuttavia appare uno stereotipo, che probabilmente si finirà con il ritrovare in un seguito. La melodrammaticità dell’autore, inoltre, qui si accentua in un effluvio di pianti, di gelosie e di tormenti, degni di un romanzo d’appendice ottocentesco, ma che finiscono con il togliere spessore ai protagonisti, rendendoli delle macchiette. Questa inclinazione di De Giovanni all’eccesso, se da un lato può servire a conquistare nuovi lettori che amano le opere strappalacrime, presenta però l’inconveniente di non accompagnarsi a un velo di sottile ironia che sdrammatizzerebbe le situazioni, alleggerendo così la prosa e accontentando forse anche quegli appassionati di lettura che non amano situazioni al limite e anche oltre. Insomma, da qualsiasi lato lo si voglia guardare, questo romanzo presenta marcati aspetti negativi che non sono compensati da quelli positivi, costituiti quasi esclusivamente dall’empatia fra il lettore e i personaggi costruita faticosamente nei libri precedenti; anzi, devo dire che Ricciardi, Maione e tutti gli altri hanno finito con il perdere quell’alone di simpatia che così tanto mi era gradito.
Di conseguenza, il mio giudizio non può che essere totalmente negativo, non consigliandone la lettura, poiché per chi già conosce i personaggi sarebbe una cocente delusione e per chi invece per la prima volta si accosta a Ricciardi finirebbe con il non desiderare leggere i precedenti che invece sono ben altra cosa.
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Commenti
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Io l'ho trovato all'altezza dei precedenti, se non migliore.
Molti lo criticano perchè scrive gialli provinciali, ma credo che la sua sia una scelta, lui ama parlare della propria città. Non credo nel fatto che chi non si cimenti in thriller di più ampio respiro, per non dire internazionali (alla Carrisi ad esempio) non abbia per forza il talento per farlo. Credo che di talento De Giovanni ne abbia da vendere e lo ha dimostrato.
L'eccesso di cui tu parli, è la napoletanità, di cui parlo io. I toni al Sud possono essere considerati sopra le righe per alcuni, ma la gelosia, il tradimento, la passione hanno delle tinte forti, non puoi smorzarle con il gelo, il Sud ha calore.
E' evidente che una serie di gialli con lo stesso protagonista si basi su un'ambientazione con dei personaggi definiti, che sono più o meno sempre gli stessi: Vargas/Adamsberg; Camilleri/Montalbano; Christie/Poirot; Conan Doyle/ Sherlock...e così via. Senza fare inutile paragoni, peraltro non calzanti, voglio solo dire che una serie è bella anche per l'affezione del lettore a quei personaggi, è un po' come ritrovarsi a casa. E poi oltre al giallo, che non è assolutamente un thriller, c'è una sottotrama che fa da contorno e spesso anche da argomento principale tanto da risultare più interessante forse del giallo stesso.
Comunque "de gustibus non est disputandum", ed è sempre interessante leggere un parere diverso dal proprio!
Fermo restando il mio giudizio positivo sui precedenti romanzi della serie con Ricciardi, quello che lamento è una radicalizzazione di certi aspetti dell’opera in questione, in precedenza sfumati. Sarà la napoletanità, come dici, ma è lì il problema: lo scrittore per essere veramente valido deve essere universale e non particolare; insomma, gli eccessi non convincono, soprattutto quando sono messi apposta per venire incontro alle aspettative di un certo tipo di lettori. Quel che intendo dire è che in passato De Giovanni non scriveva con scopi esclusivamente commerciali, a differenza di adesso, tutto teso a dire quel che il lettore si aspetta, e quindi letterariamente di apporto trascurabile.
Di lui ho letto solo L'autunno del commissario Ricciardi, notando tra l'altro uno svarione pazzesco. I grandi scrittori stanno da tutt'altra parte.
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Ferruccio