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Fango su fango
Trecentoquarantotto pagine non sono di certo poche e alla fine del libro, quasi costretto a leggere con ben poche interruzioni a causa dell’intricata e appassionante trama, sono arrivato esausto, ma anche soddisfatto. Se La città d’oro mi è sembrato un romanzo per nulla riuscito, con L’angelo del fango ho ritrovato il Gori dei tempi migliori, tanto per intenderci quello di Nero di maggio e di Il passaggio, romanzi in cui il protagonista principale è il capitano dei carabinieri Bruno Arcieri. E non è quindi un caso se anche in quest’opera giganteggia Bruno Arcieri, invecchiato, da pensione, ma diventato nel frattempo colonnello del SID, il servizio segreto italiano. Il palcoscenico è sempre Firenze, ma non quella della visita di Hitler nel 1936 e della liberazione della città avvenuta nell’estate del 1944, bensì quella devastata dall’alluvione dell’Arno del 4 novembre 1966. A ben guardare il romanzo presenta, se pur indirettamente, un collegamento con la lotta per la liberazione di Firenze del 1944 e quindi con Il passaggio, ed è un filo riannodato debolmente, ma che nella circostanza lascia ampi margini di azione a un autore che sembra ritrovare nel fascismo repubblichino o in quello post bellico il terreno ideale per inventare le sue storie. Se le altre narrate hanno trame tutto sommato semplici, questa invece è oltremodo intricata e pur tuttavia scorre su binari ben precisi su cui l’autore è riuscito a farla procedere in un crescendo di colpi di scena e di tensione che vanno a tutto vantaggio del piacere della lettura. Inoltre, come per il passato e nel caso specifico ancora di più, le descrizioni della devastazione della città e dell’atmosfera che vi regna sono elementi particolarmente qualificanti che non poco contribuiscono ad avvincere, in alcuni casi anche impressionando, con il colore funereo del fango e il tanfo della nafta uscita dai serbatoi, che danno una vera e propria sensazione del marciume di una palude. La decomposizione del paesaggio non fa altro che anticipare una decomposizione delle coscienze che possiamo riscontrare nei notabili che quasi fanno a botte per stare accanto al Presidente della Repubblica in visita e ai tragici giochi di potere di cui solo per un soffio Arcieri non resterà vittima. Ma se nel romanzo sulla liberazione di Firenze, nonostante i lutti, i morti colpiti dai cecchini fascisti, le vendette lasciano spazio a un domani di speranza, in L’angelo del fango tutto comincia e finisce con una massa d’acqua fangosa a lordare, o comunque a cercare di lordare anche chi della dignità e della coerenza ha fatto un principio di vita. Nei giochi sporchi dei servizi segreti il colonnello Arcieri rappresenta un mondo passato, di una generazione che ancora credeva che fare il proprio dovere con coscienza e nel rispetto delle norme fosse il codice etico a cui uniformarsi. Immersi nella fanghiglia, ma non ancora lordati dentro sono i tanti giovani, venuti da ogni dove, che sguazzando nel putridume cercano di recuperare i libri della Biblioteca Nazionale; chissà che loro riescano a mantenere la purezza di cuore necessaria, ma il timore è che si perdano poi negli infiniti rivoli del fango morale. L’epoca degli anni di piombo è a due passi, con gli scellerati attentati e gli estremisti rossi e neri che faranno a gara per alimentare la strategia della tensione, probabilmente marionette manovrate da un abile burattinaio di cui non verremo mai a sapere il nome. Ecco nella trama di L’angelo del fango ci sono anche i prodromi di un periodo che mi è toccato vivere, iniziato con l’attentato di Piazza Fontana a Milano e culminato con quello alla stazione di Bologna.
Mi pare superfluo aggiungere che la lettura di questo libro, vincitore del prestigioso premio Scerbanenco nel 2005, è senz’altro raccomandata.