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Una teoria piuttosto che un semplice piatto
Gli “Spaghetti all’assassina” di Gabriella Genisi non sono una semplice ricetta. Di più. Sono una tradizione della Barivecchia, una liturgia, un mito: perché “Lo spaghetto all’Assassina è una teoria piuttosto che un semplice piatto”.
Nella sua nuova avventura la sexy-commissaria Lolita Lobosco deve scoprire l’identità di un assassino crudele, che ha realizzato una terribile vendetta (“Stramaglia è stato incaprettato, evirato e ucciso con una freddezza e una violenza inaudite”) ai danni di un ristoratore che nella sua vita è stato tanto sessualmente attivo quanto equivoco.
Per non smentire la sua fama di abile solutrice di casi polizieschi, Lolì (“Lolità, allora. Che nome meraviglioso. Un nome da tango il suo”) si destreggia tra interrogatori in questura, relazioni con la procura e… interferenze di una vita privata movimentata e ricca di insidie e tentazioni. Come quella rappresentata dall’affascinante executive chef franco-algerino Matou Banallal (“Il nome di una barca non si cambia mai, per nessuna ragione”), tra i sospettati.
Con uno stile contaminato dalla parlata, il romanzo somministra i suoi ingredienti – umorismo, femminilità, mediterraneità – lasciando nel lettore i sapori vivaci e piccanti della Puglia e un vago rimorso per i chili che prenderemo, cercando di realizzare le ricette che Lolì alias Gabriella Genisi sciorina, prima fra tutte quella degli “Spaghetti all’assassina”, proposta in ben quattro varianti.
Giudizio finale: spensierato, frizzante, culinario.
Bruno Elpis