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IL RITORNO DELL' ALLIGATORE
Torna in libreria Massimo Carlotto e con lui l'Alligatore, detective senza licenza reso celebre dalla penna dello scrittore padovano.
Carlotto ci introduce come suo solito nelle atmosfere criminali dell' Italia contemporanea. Ci svela il marcio celato dietro la facciata di industriosa operosità del nord- est italiano e soprattutto, ci porta con forza nella bassezza umana, quella ben radicata anche se confinata nei meandri più remoti delle nostre menti. Quella brutta e sporca che non vorremmo vedere, tantomeno leggere nei libri. Ci mostra gli uomini, tutti, meschini e piccoli. Ognuno dedito al proprio interesse, ognuno con le proprie leggi e giustificazioni. In questo libro non c' é redenzione e non v' é giudizio che vadano oltre la rassegnazione.
Rimestare nel torbido sembra la specialità di Marco Buratti ( l' Alligatore ) che al fianco dei compagni di sempre, e dopo avere assistito al suicidio della moglie dell' amico Beniamino, si troverà coinvolto in un giro di sequestri ed omicidi in un mondo che non conosce pietà ne umanità.
Il nocciolo del romanzo a mio giudizio non sta tanto nella trama quanto nei personaggi, nella tremenda disumanità ed apatia in cui sono ridotti alcuni di essi e nella naturalezza e disinvoltura con cui viene perpetrato il male, senza coscienza e senza freni. Godimento e sadismo sia fine che mezzo del potere.
Terrificante il personaggio di Pellegrini, reincarnazione di tutto il nero che si annida nell' essere umano, che riuscirà comunque a farla franca. Perché la giustizia sembra volere dire Carlotto, grande assente nel libro e ovviamente sotto accusa, non è di questo tempo.
Libro che si legge velocemente grazie ad una trama snella che mette in evidenza i personaggi principali quali portatori del messaggio del testo.
Bentornato Carlotto.
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Commenti
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Dal tuo interessante commento, deduco che l'autore ha colto e rappresentato il peggio dell'umanità. Ti dirò che questo chiuso pessimismo, oggi abbastanza diffuso, non mi piace affatto. Penso che uno scrittore debba rappresentare la complessità della realtà, fatta di luci e ombre, lasciando emergere anche il buono che c'è, anche perché è essenziale coltivare quel filo di speranza che è ben supportato da molti elementi non difficili da vedere (per chi sa guardare).