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UN GIALLO A QUATTRO MANI
Siamo sempre a Bellano, teatro di tutti i lavori di Vitali, più precisamente a Lezzeno, amena contrada che ospita un santuario eretto in onore ad una Madonna che pianse lacrime di sangue , ma stavolta i fatti si svolgono alla fine dell'ottocento, e non nel consueto periodo fascista.
Il santuario esiste davvero: è il Santuario della Madonna delle Lacrime che è stato costruito in memoria del miracolo del 6 agosto 1688 quando Bartolomeo Mezzera, un contadino del posto, mentre rientrava dal lavoro durante un forte temporale, rifugiatosi nei pressi di una cappelletta dove era posto un tondo in gesso con l’immagine della Madonna, si fermò per recitare una preghiera e vide che la Madonna piangeva lacrime di sangue. È proprio lì che due anni dopo, il 6 agosto 1690, venne posata la prima pietra del santuario, che fu ultimato nel 1694.
Si occupa del rettorato e del santuario una coppia di mezza età con tre figlie. Arcadio e Serpe hanno già sistemato le prime due, manca solo la terza, Birce, che però sembra destinata a restare a vita coi genitori: è nata storta, ha una voglia color blu chiaro sulla guancia, e quando questa diventa rossa Birce “si perde via” diventa muta, o parla in una lingua sconosciuta (forse latino?) e non ricorda più nulla di dove va o cosa fa. Capite che è un bel problema, soprattutto per quella pettegola della Persegheta che aspira al posto di perpetua e si attacca a tutto pur di denigrare la coppia.
Intato a Bellano, a villa Alba, arriva una misteriosa signora bionda che ogni settimana sale al santuario, che sia lei che sistemerà la strana Birce? Serpe coglie al volo l'occasione proprio la vigilia della festa per il miracolo delle lacrime della Madonna, che sia un miracolo? O solo la furbizia di trovarsi al posto giusto al momento giusto (e origliare i discorsi del rettore con la misteriosa signora)?
La narrazione si sposta a Torino, dove si susseguono fatti di sangue misteriosi: due giovani donne vengono trovate morte per strada, la loro “autopsia” rivela le stesse ferite, e lo stesso misterioso biglietto con una strana equazione o formula matematica, stesso biglietto che tempo prima è stato recapitato al celebre medico Cesare Lombroso.
È qui che entra in scena il contributo di Massimo Picozzi.
Lombroso è noto ai più per le teorie che si basavano sul concetto del criminale per nascita, secondo cui l'origine del comportamento criminale era insita nelle caratteristiche anatomiche del criminale, persona fisicamente differente dall'uomo normale in quanto dotata di anomalie fisiche e cerebrali che ne determinavano il comportamento socialmente deviato. Chiaramente Picozzi non può che essere un esperto della filosofia di Lombroso, che nel libro viene giusto accennata, ma dove viene trattata con maggiore dettaglio la sua adesione a certe teorie sullo spiritismo in collaborazione con la medium Eusapia Palladino, altro personaggio controverso del tempo. Insieme a Lombroso e alla Palladino troviamo anche la figlia di Lombroso, Gina, ed il suo assistente Ottolenghi.
I casi della vita porteranno a Bellano, in particolare a Villa Alba, sia la Palladino, amica della misteriosa signora bionda, che Lombroso, oltre ad un giornalista d'assalto di Como e un giovane medico suo amico, Politti, grande ammiratore delle teorie di Lombroso.
Dopo una rocambolesca seduta spiritica in quel di villa Alba, che vedrà protagonista in particolare la nostra bizzarra Birce, un altro fatto di sangue sconvolgerà la piccola e tranquilla Bellano: una giovane novizia viene trovata morta per strada con le stesse ferite delle povere donne di Torino.
Che il serial killer abbia seguito Lombroso fino a Bellano?
Al di là della trama, che in questo volume di Vitali è un po' più sfaccettata del solito, l'influenza di Picozzi a mio avviso è minima, è giusto una consulenza che approfondisce un po' la narrazione che non perde certo di ironia. Chiaramente, nonostante i personaggi di Lombroso, Ottolenghi, Palladino ecc...siano reali, i fatti sono pura fantasia, senza scadere “nell'accademico “ e nella troppa serietà la lettura è come sempre ironica, non si capisce bene alla fine se Lombroso (e chi gli gira intorno) sia un luminare o un ciarlatano, resta a noi l'ardua sentenza, e il titolo “la ruga del cretino” è un chiaro riferimento a quella “fisiognomica” che Lombroso applicava alle sue teorie.
La narrazione è sempre veloce, con capitoletti brevissimi, scorrevoli, i personaggi a mio avviso sono trattati un po' meno efficacemente del solito, a mio parere i personaggi della Birce e dell'assassino avrebbero potuto essere trattati forse in modo più approfondito.
Resta il fatto che il volume è divertente, un po' diverso dai soliti lavori di Vitali...ma neanche tanto, non perde comunque il suo marchio di fabbrica fatto di ironia, personaggi sgangherati e nomi irresistibili (Serpe, Persegheta, Birce...). Sempre molto umani e molto vicini a noi.