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L'amica
 
L'amica 2015-08-07 17:27:29 Bruno Izzo
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Bruno Izzo Opinione inserita da Bruno Izzo    07 Agosto, 2015
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La vita per amica

Conosciamo davvero i nostri figli?
Sappiamo effettivamente chi sono, cosa pensano, cosa desiderino per davvero, specie in quell’età magica, e terribile, che va dall’adolescenza alla prima giovinezza?
Sappiamo davvero crescerli, educarli, instillare in loro forza, idee e valori?
In questa nostra epoca ipertecnologica, i nostri figli non sono mai con noi, anche se con noi vivono: la loro realtà, ormai, è puramente virtuale, essi vivono su internet, sul social network, condividono gioie emozioni e momenti in chat, e i genitori sono più spesso reclusi letteralmente in un’altra stanza, esclusi.
Sappiamo essere una presenza “amica” nella loro esistenza?
E i figli, a loro volta i figli conoscono per davvero i loro genitori?
Sic et simpliciter, “L’amica” di Nicola Ronchi parla di questo, attraverso una storia alquanto insolita e abilmente ben confezionata Ronchi ci offre un’interpretazione “sopra le righe” dell’eterno rapporto, e dualismo, genitori-figli, un dualismo direi portato all’eccesso.
La protagonista Emma Barbaro è una giovane ventiquattrenne di buona, anzi ottima famiglia, più che benestante, ed è l’unica figlia di una coppia dell’alta borghesia veronese: il padre un valente imprenditore, la madre una dolce e devota casalinga dedita alla cura della casa e dell’unica figliola.
Emma ha quindi, in apparenza, tutto per essere felice: giovane, carina, ricca, fresca di laurea in psicologia dopo un eccellente iter di studi, amata a dismisura a maggior ragione perché è figlia adottiva, venuta ad allietare l’esistenza dei coniugi impossibilitati ad avere figlioli propri.
Tuttavia, come troppo spesso accade, felice non è: è un’anima tormentata, instabile, contraddittoria, la ragazza si è creata un vero e proprio scudo di granito tutto intorno al suo animo, impermeabile agli affetti e ai sentimenti.
Emma è quella che si dice “una viziata figlia di papà”, ha tutto e tutto le è stato sempre dato: a tal punto però che la ragazza si è fatta un’idea distorta di tanta fortuna occorsole, pretende senza mai dare, è convinta che tutto le sia semplicemente dovuto in virtù di una sua presunta superiorità intellettiva e concettualistica nei confronti dei genitori adottivi, che mal sopporta e che, specie la madre, sono il bersaglio del suo sarcasmo, della sua cattiveria, del suo disprezzo per un modus vivendi che considera antico, alienante, spento, disutile, vuoto di senso e di interesse.
Emma non si cura dei genitori che tanto hanno fatto per lei; non parla con loro, non considera se stessa la figlia e la sua una famiglia, li vede semmai come semplici mezzi, pedine per ottenere quanto di materiale può servirle, poiché in realtà disprezza loro e tutto quanto loro rappresentano, sono antitetici a ciò che la ragazza desidera.
Perciò Emma è diversa e controcorrente: è bravissima a scuola ma fredda e scostante con chiunque, si laurea col massimo dei voti e in tempi brevi, ma ha il corpo ricoperto di piercing e spille in pure stile punk, va in giro di nera vestita e con un pauroso coltellaccio in cintola, destando sconcerto in chiunque la avvicini e nei suoi un’ormai rassegnata disapprovazione.
Difficile dire chi ha maggiori colpe, se Emma chiusa nel suo egoismo e nella sua immaturità essenziale, o i genitori che tutto le hanno dato senza considerare che il troppo storpia.
Emma ha ben impresso un suo motto: nella vita per sopravvivere bisogna essere cinici e spietati, e la ragazza si attiene scrupolosamente a questa massima, che sintetizza l’essenza del suo vivere.
Non solo, ma il suo “andare contro”, essere diversa rispetto ai canoni stereotipati della ragazza di buona famiglia, la porto a prediligere modi e concetti di stile orrorifico, predilige libri e film del genere horror, con un nick alquanto caratteristico è attiva su una chat di appassionati del genere.
Proprio su una di queste chat fa la conoscenza di Veronica, un’amica che condivide i suoi gusti e che è un po’ il suo alter ego. Veronica la invita in vacanza nel suo paese, le due ragazze sono tanto diverse, solare vivace ed esuberante Veronica, dark cupa e in nero Emma, ma proprio per questo finiscono per legare, e altro non si aggiunge per non togliere il piacere della lettura, tranne che rilevare che Ronchi ha avuto una bella idea, ci detta una storia diversa dalle solite, ha uno suo stile originale di scrittura, asciutto, stringato, molto descrittivo. Usa pochi tratti, ma li usa bene. Già nei primi capitoli ci presenta una vera e propria sinossi, tout court ci dice subito chi è la protagonista, che fa, con chi l’ha, chi sono gli stringati personaggi principali, tracciando i punti salienti fisici e caratteriali con pochi tratti essenziali ma incisivi.
Ha un modo”fiorentino” di scrivere, niente a che fare con i toscanacci come Marco Vichi e Leonardo Gori o anche come Marco Malvaldi, non stiamo qui a fare confronti che non hanno motivo di essere, si sente però l’essenzialità dei nativi sull’Arno, quel modo stringato e preciso di scrivere, di appuntare, di incidere in fretta nell’immaginario di chi legge.
Al punto che talora sembra non funzionare per niente il meccanismo della “sospensione dell’incredulità”, quel patto non scritto che permette a un comune lettore di appassionarsi alle storie per esempio di Stephen King, arrivando a credere ciecamente senza nutrire alcun dubbio che esistono veramente tutt’oggi i vampiri nelle moderne cittadine americane, o anche mostri neutri e amorfi, in inglese “it”, divoratori di bambini e allegramente scorazzanti nelle fogne delle stesse cittadine. Ma è un artificio voluto! Ronchi, infatti, crea ad arte lo scetticismo nel lettore, portato a credere che la storia che sta leggendo sia banale e fa acqua da tutte le parti; e invece tale scontato stato d’animo è l’obiettivo prefissatosi dall’autore, che vira di colpo la rotta sull’imprevisto “coup de theatre” di ogni buon thriller psicologico.
In conclusione, un buon libro, una buona lettura, facile, scorrevole ed intrigante…e che magari ci induce a riflettere: il nucleo della storia è questo, nella vita per sopravvivere bisogna essere cinici e spietati, ma cinici e spietati possono diventare tutti, se provocati, con le conseguenze del caso.
La vita è piena di problemi, ostacoli, sofferenze, ma l’unica maniera di uscirne è passare attraverso queste prove, affrontarle, superarle, anche a costo di appurare che una presenza che crediamo “amica” tanto amica non è, anche a costo di armarsi di santa pazienza e aspettare finanche diciotto anni prima di una qualsiasi catarsi….Si cresce anche così, se vogliamo. Si rinasce anche così, e la vita ritorna ad essere…l’amica.

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Consigliato a chi ha letto...
...giovani autori emergenti, o che almeno ci provano! Ad majora, ragazzi!
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